Lei spiata col telefono e vessata Lui a processo per maltrattamenti

Per mesi avrebbe vissuto in una sorta di prigione. Monitorata durante gli spostamenti, spiata con un telefono che consentiva all’ex compagno di controllarne gli spostamenti e tempestata di chiamate quando si recava al lavoro.

È la storia di un amore malato, segnato da una gelosia ossessiva, ma anche dalla violenza, quella al centro di un processo che si sta celebrando in Tribunale a Trento.

La vittima, una giovane donna e mamma straniera, ha trovato però il coraggio di dire basta, grazie all’aiuto di un’altra donna e al sostegno della rete della casa rifugio. A processo, con l’accusa di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale è finito un 45enne trentino, che però nega le contestazioni.

I fatti, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, sono successi in val di Non tra la fine del 2014 e metà del 2015.

La relazione fra la vittima, che si è costituita parte civile con l’avvocato Chiara Sattin, e l’imputato, sarebbe stata segnata da subito dalla morbosa gelosia dell’uomo, che avrebbe cercato in ogni modo di impedire alla donna di vivere una vita serena e libera.

Nel capo di imputazione vengono contestati una serie di comportamenti «ossessivi» e «maniacali». La vita della vittima era dunque segnata da una serie di divieti e di prescrizioni, come quella di non attardarsi mai in giro quando portava la figlia a scuola o la andava a riprendere.

Secondo l’accusa la donna era costretta a stare in casa e, se doveva uscire, veniva tempestata di telefonate dall’uomo che voleva controllarne sempre i movimenti.

Al punto che - viene ricostruito - la donna avrebbe dovuto anche abbandonare il lavoro. L’imputato, deciso a non perdere mai di vista la compagna, sarebbe arrivato anche al punto da usare la tecnologia per spiarla a distanza: attraverso l’installazione di una App sul telefono, infatti, poteva sempre controllare la sua posizione e capire quando rincasava. La donna, soggiogata dall’uomo e perennemente in balia delle sue ossessioni, secondo l’accusa non aveva nemmeno potuto iscriversi all’anagrafe sanitaria e, in un caso, benché malata, non si era nemmeno recata in ospedale, anche per non dovere lasciare la figlia con l’uomo.

C’è poi un’altra imputazione, che si aggiunge ai maltrattamenti in famiglia: violenza sessuale. In una circostanza, infatti, la donna sarebbe stata costretta a subire un rapporto completo nonostante il suo rifiuto.

Per mesi, come detto, la donna avrebbe sopportato di vivere in questa prigione, vessata e umiliata, con la paura costante per sé e la figlia. Fino a quanto, grazie al sostegno di un’altra donna, ha trovato la forza di ribellarsi.

Un aiuto venuto da una persona che la vedeva sempre scappare via appena portata la figlia a scuola e che, nel corso dei mesi, l’ha vista sofferente e sempre più magra. Una donna che, invece di girarsi dall’altra parte, le ha offerto un aiuto e ha avvisato le forze dell’ordine. A quel punto, con l’aiuto delle assistenti sociali e il riparo di una casa rifugio, dove lei e la figlia sono state accolte, la vittima ha trovato il coraggio di denunciare le violenze subite alla polizia.

L’uomo è dunque finito a processo: il dibattimento si concluderà l’11 gennaio.

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