I cinghiali uccisi finiscono nelle mense delle Rsa

Nel 2016, in Trentino, è stato autorizzato l’abbattimento di trecento cinghiali, cinquanta dei quali solo in Valsugana. Il dato, fornito nei giorni scorsi dall’assessore provinciale Michele Dallapiccola in risposta ad un’interrogazione presentata dal consigliere Gianpiero Passamani, ha destato l’attenzione di molti.

Tra gli interrogativi rimasti inevasi c’è quello relativo all’utilizzo cui vengono destinati gli esemplari abbattuti e le precise modalità con cui avvengono gli abbattimenti.
A rispondere è Carlo Pezzato, presidente l’Associazione Cacciatori Trentini: «Ad oggi - spiega - la caccia al cinghiale è sospesa. Questo comporta che i prelievi vengono effettuati in una logica di controllo della specie, con particolare riguardo alle zone del Trentino sud-orientale, della Valle del Chiese e della Riserva di Nago Torbole. Il tali ambiti, ad esercitare il suddetto controllo sono i cacciatori, il Corpo Forestale ed i guardiacaccia».

Per regolare la specie animale del cinghiale, spiega Pezzato, vengono poste in essere sia misure ordinarie che straordinarie. Queste ultime scattano soprattutto quando degli esemplari arrecano danni consistenti, ad esempio alle coltivazioni, ed includono l’utilizzo di chiusini e la caccia in ore notturne. Al di fuori di tali specifiche ipotesi, prosegue il presidente, «non sono previste altre forme di controllo. Il tutto, inoltre, avviene in modo regolamentato per i cacciatori: è necessario infatti aver frequentato un corso specifico ed aver superato un esame di abilitazione».

Per quanto attiene la sorte degli esemplari abbattuti nel corso dell’anno scorso, Pezzato spiega come quelli «prelevati» dai cacciatori rimangano in loro possesso mentre, nel caso di un coinvolgimento di enti di vigilanza, la destinazione sia quella delle case di riposo, delle associazioni o delle istituzioni.

«L’utilizzo fatto da parte dei cacciatori - chiarisce Pezzato - naturalmente è di tipo alimentare, previa analisi della carcassa. Un frammento del diaframma viene esaminato dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie per sincerarsi che non sia presente il parassita Trichinella. Ad ogni modo, nel nostro territorio le quantità sono limitate e non si può certo parlare di una vera e propria filiera del cinghiale: l’uso è interno è domestico».

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