Strasburgo, l'Italia ammette «Al G8 di Genova fu tortura»

Ancora un capitolo giudiziario oltre quindici anni dopo i fatti del G8 di Genova

Ancora un capitolo giudiziario oltre quindici anni dopo i fatti del G8 di Genova, con le violenze delle forze del'lordine ai danni di numerosi manifestanti.

Il governo italiano ha riconosciuto davanti alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo «i casi di maltrattamenti simili a quelli subiti a Bolzaneto» durante il G8, e anche «l’assenza di leggi adeguate».
In Italia, infatti non esiste il reato di tortura.

Il governo si è dunque impegnato «ad adottare tutte le misure necessarie a garantire in futuro il rispetto di quanto stabilito dalla Convenzione europea dei diritti umani, compreso l’obbligo di condurre un’indagine efficace e l’esistenza di sanzioni penali per punire i maltrattamenti e gli atti di tortura».

A questo scopo l’Italia si è impegnata «a predisporre corsi di formazione specifici sul rispetto dei diritti umani per gli appartenenti alle forze dell’ordine».

Il governo italiano, secondo quanto reso noto a Strasburgo, ha raggiunto una "risoluzione amichevole" con sei dei 65 cittadini - tra italiani e stranieri - che hanno fatto ricorso alla Corte europea dei diritti umani.

Ricorsi in cui si sostiene che lo Stato italiano ha violato il loro diritto a non essere sottoposti a maltrattamenti e tortura e si denuncia l’inefficacia dell’inchiesta penale sui fatti di Bolzaneto.

I sei ricorrenti che hanno accettato l’accordo sono Mauro Alfarano, Alessandra Battista, Marco Bistacchia, Anna De Florio, Gabriella Cinzia Grippaudo e Manuela Tangari.

Con l’accordo, si legge nelle decisioni della Corte, il governo afferma di aver «riconosciuto i casi di maltrattamenti simili a quelli subiti dagli interessati a Bolzaneto come anche l’assenza di leggi adeguate. E si impegna a adottare tutte le misure necessarie a garantire in futuro il rispetto di quanto stabilito dalla Convenzione europea dei diritti umani, compreso l’obbligo di condurre un’indagine efficace e l’esistenza di sanzioni penali per punire i maltrattamenti e gli atti di tortura».

Inoltre, nell’accordo il governo si impegna anche «a predisporre corsi di formazione specifici sul rispetto dei diritti umani per gli appartenenti alle forze dell’ordine». E propone di versare ai ricorrenti 45 mila euro ciascuno per danni morali e materiali e per le spese di difesa. In cambio i ricorrenti «rinunciano a ogni altra rivendicazione nei confronti dell’Italia per i fatti all’origine del loro ricorso».

Tuttavia, se  dopo 16 anni il governo riconosce che durante il G8 di Genova sono state commessi abusi e violenze contro i manifestanti, ma intanto, in Parlamento, continua a slittare l’esame del disegno di legge che punta ad introdurre il reato di tortura anche in Italia.

Il provvedimento, giunto ormai alla sua terza navetta tra Senato e Camera, era stato inserito nel calendario dei lavori dell’Aula subito dopo la relazione della commissione Moro. Ma, secondo quanto si apprende, «finirà sicuramente ben dopo Pasqua» visto che i decreti, come quello sulla sicurezza, «hanno la precedenza» e visto che «restano diversi nodi da sciogliere».

E sarebbe la terza volta che il ddl, a prima firma Luigi Manconi (Pd), subisce modifiche. «Ma noi siamo contrari a che il provvedimento slitti ancora perchè ogni rinvio è una vergogna. Ormai in Europa siamo tra i pochissimi a non riconoscere questo reato. Insisteremo per un suo immediato esame in Assemblea», assicura la presidente del gruppo Misto Loredana De Petris.

«È sicuramente importante, anche se dopo 16 anni dai fatti, che l’Italia abbia riconosciuto che a Bolzaneto si è trattato di tortura», afferma Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, che si batte per i diritti nelle carceri.

«Di fronte alla corte europea dei diritti umani il nostro Paese - aggiunge - ha anche ammesso che riguardo a questo tipo di reati l’Italia è carente e al momento non ha rimedi». «Ciò significa - sostiene Gonnella - che non sono assicurati i diritti e le adeguate garanzie, previsti dalla Convenzione europea dei diritti umani, alle vittime di tortura».

«Più volte gli organismi internazionali hanno sollecitato il nostro Paese a dotarsi di una legge che punisse questo crimine contro l’umanità, per ultimo il Comitato Diritti Umani delle Nazioni Unite riunitosi a Ginevra lo scorso mese di marzo. Ora, a 30 anni dalla convenzione Onu dei diritti dell’uomo che lo impone, il governo si è impegnato ad introdurre il reato di tortura: si rispetti questo impegno e si approvi subito la legge», conclude Gonnella.


Anche se è solo il 33% degli italiani a ritenere che in Italia avvengano casi di tortura, a fronte di un 50% secondo cui questa non avviene nel nostro Paese (e il restante 17% non sa), la mancanza di rispetto per i più elementari diritti umani viene vissuta dai nostri connazionali come una materia importante su cui intervenire. A tal punto che ben sei italiani su dieci sono favorevoli all’introduzione nel nostro ordinamento di uno specifico reato di tortura. È il quadro che emerge da un’indagine realizzata da Doxa per Amnesty International su un campione rappresentativo della popolazione italiana over 30.

I casi di violazione grave dei diritti umani più presenti nella mente degli italiani?

I fatti qui citati di Bolzaneto al G8 di Genova, le torture inflitte a Stefano Cucchi e l’assassinio di Giulio Regeni. Per otto italiani su 10, Amnesty dovrebbe continuare a presidiare i casi di violazioni internazionali, senza dimenticare i fatti di casa nostra.

Per continuare a farlo, l’Organizzazione lancia oggi la campagna di raccolta fondi con il 5x1000.

«Sebbene un italiano su due ritenga che la tortura nel nostro paese non esista, la sensibilità verso la difesa e le violazioni dei diritti umani che hanno ottenuto maggiore spazio sui mezzi d’informazione destano interesse e partecipazione - dichiara Riccardo Noury, portavoce Amnesty International Italia - da questa indagine emerge con chiarezza che dobbiamo continuare a lavorare con tutte le nostre forze per portare all’attenzione delle istituzioni, dell’opinione pubblica e dei media il tema della tortura, far crescere la consapevolezza su quello che avviene nel nostro paese e fuori dai nostri confini, dare voce a chi non ce l’ha».

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