Ramus, professore a Lisbona «La Cooperazione deve rinnovarsi»

di Matteo Lunelli

Da Trento a Lisbona, passando attraverso il Prati e la laurea in Economia, il volontariato, un'esperienza di due anni a Barcellona e una pubblicazione su una delle maggiori riviste scientifiche a livello mondiale. E, c'è da scommetterci, non finirà certo qui, perché il Portogallo più che un punto d'arrivo sarà un punto di partenza. 

Il protagonista è Tommaso Ramus. Non la chiameremo fuga di cervelli, per due motivi: il primo è perché tradiremmo la promessa fatta alla modestia di Ramus. E il secondo è perché tradiremmo la sua umiltà: «I veri cervelli sono altri». Quindi parleremo semplicemente del ritratto di un giovane trentino. Ma proseguiamo. Nato a Trento, classe 1981, è da quattro anni professore alla Catolica di Lisbona. Per essere internazionali e precisi, è Assistant Professor ed Executive Director of the Center for Ethics, Business and Economics. Il suo focus accademico è l'impresa sociale. Lui non lo dice, ma riassumendo un po' è uno dei maggiori esperti internazionali di tutto ciò che gira intorno al mondo cooperativo, al no profit, al profit. Tutto questo lo insegna e lo studia, perché la ricerca continua ad avere un ruolo fondamentale e predominante nella sua attività accademica. 

Ma procediamo con ordine, facendoci raccontare un po' di lui. «Dopo il Prati e la laurea ho iniziato a lavorare con il professor Michele Andreaus. La mia tesi riguardava in realtà il settore energetico, ma con lui ho conosciuto il mondo delle imprese sociali, che in realtà avevo scoperto grazie a tanti anni di volontariato nella Rete e negli scout. Dopo un periodo in Finlandia, per un anno ho lavorato a Trentino Servizi. Ma l'idea del lavoro dipendente non mi piaceva, così sono tornato dal professor Andreaus: ero stimolato, avevo addosso una grande cattiveria agonistica e tanta voglia di fare e lui mi ha aiutato molto, con grande generosità. Mi ha messo in contatto col professor Nino Vaccaro, ho completato il dottorato a Bergamo, poi sono stato a Barcellona e quattro anni fa sono andato a Lisbona, per occuparmi di etica di impresa e innovazione sociale». 

Ramus insegna in un'università prestigiosa, in lingua inglese («L'ho imparato viaggiando e lavorando, ho un accento un po' latineggiante, qualcuno l'ha definito sexy e quindi non lo cambio») e la svolta nella sua carriera è arrivata grazie a una pubblicazione, quest'estate, sull'Academy of Management Journal. «Ho svolto una ricerca su quattro cooperative sociali, delle quali due trentine, ovvero la Alpi e il Gabbiano: quattro anni di lavoro con interviste, dati, analisi per capire i meccanismi di gestione di fronte alla crisi». 

A questo punto non possiamo non chiedere un parere sul mondo cooperativo trentino. «Credo che in Trentino ci sia stata un'eccessiva ideologizzazione delle coop: quello è un modello di business come un altro, non necessariamente il migliore o superiore ad altri. Nel momento in cui si ritiene che sia il migliore, allora l'ideologia non ti permette di aprirti a opportunità diverse. Credo ci sia un grande bisogno di rinnovamento e apertura, prima di tutto a livello filosofico. Gli americani, ad esempio, si accorgono che il loro modello "turbo capitalista" potrebbe avere dei problemi e sono molto interessati a quello cooperativistico: il Trentino è ancora in tempo per diventare un laboratorio di studio in tal senso. Il problema è a volte pensiamo che il mondo inizi ad Ala e finisca al Brennero, o forse a Salorno: se invece riuscissimo ad aprirci e a valorizzarci diventeremmo un esempio. Il modello coop, con una governance allargata, ha vantaggi enormi a livello sociale ma ha lo svantaggio di deresponsabilizzare». 

Coop: in Italia in questi ultimi anni è diventato quasi sinonimo di qualcosa, mettiamola così, di poco trasparente. «È vero. Ma credo che la questione stia tra mondo profit e no profit. I due potrebbero integrarsi e il mercato non è un nemico: fare profitto è un incentivo fortissimo, infatti all'estero le imprese sociali sono concepite come ibride, un mix tra le due opzioni». Torniamo alla vita di Ramus. Ex pallavolista nella Bolghera («La rete si alzava e io no, così ho smesso. Ma ho grandi ricordi»), ama il calcio («Qualche partita a calcetto non manca mai in Portogallo. E a Barcellona andavo sempre a vedere la splendida squadra di Guardiola: e che festa per la Champions, altro che quella piuttosto triste per l'Europeo a Lisbona») e il Trentino («Torno a sciare e a trovare la famiglia e gli amici»). La carriera accademica è stata casuale. «Mio papà è dirigente in banca, mia mamma maestra d'asilo. E poi mio zio è stato direttore dell'Associazione Industriali. Diciamo che l'ipotesi di restare qui e far pensare alla gente "quello è raccomandato" era rischiosa. Anche per questo ho puntato su un mondo dove il mio lavoro sarebbe stato riconosciuto solo per meriti». 

E chissà che quel lavoro in futuro non gli venga riconosciuto e valorizzato anche in Trentino: perché essere giovani, trentini, preparati e bravi non può essere certo un problema. Almeno si spera.

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