Spinto a scuola, niente soldi alla famiglia

Chiedeva 11 mila euro, dovrà pagarne 4.800 di spese legali

di Flavia Pedrini

I genitori degli 86mila studenti che oggi tornano a scuola sicuramente auspicano che l'anno trascorra in modo fruttuoso e positivo per i figli. Ma qualche guaio può accadere e non solo perché una verifica va male. Un dispetto o uno scherzo fra compagni, a volte, hanno conseguenze pesanti. Ne sa qualcosa un bambino di prima media di Trento che, spinto da un altro alunno, è finito a terra, ha sbattuto il viso su uno scalino e si è rotto un dente. Fatto grave, certo.

Cose che accadono, penseranno in molti, che forse avrebbero archiviato la vicenda con una «sfuriata». I genitori del malcapitato, invece, hanno presentato il conto alla Provincia, ritenendo che l'infortunio fosse stato causato da negligenza dell'insegnante. Però, non solo non riceveranno il risarcimento di 11mila euro chiesto, ma dovranno mettere mano al portafoglio: sono stati infatti condannati dal giudice anche a pagare le spese di lite, pari a 4.800 euro, cui vanno aggiunte quelle per la consulenza tecnica.

I fatti al centro della causa civile finita davanti alla giudice Giuliana Segna risalgono al febbraio 2009 e sono successi al termine della ricreazione, quando gli alunni erano già in fila e pronti a rientrare in classe. Il bambino era stato raggiunto da uno spintone da dietro. Il «colpevole» non venne identificato, ma gli effetti furono pesanti: incisivo rotto. L'insegnante, vedendo che perdeva sangue dalla bocca, lo aveva subito soccorso ed aveva raccolto la scheggia di dente.

Si può immaginare lo spavento dei genitori, corsi a scuola appena avvisati dell'incidente. Ma la vicenda non si è chiusa con parole di rammarico o rabbia per l'accaduto e una visita dal dentista. La famiglia ha promosso una causa contro la Provincia - responsabile civile - ritenendo che l'incidente fosse successo perché al momento della ricreazione erano presenti pochi docenti e denunciando un comportamento negligente da parte dell'insegnante. Una tesi respinta da piazza Dante, secondo la quale non era invece provato che il minore fosse stato spinto a terra volontariamente da qualcuno. Ma, soprattutto, l'ente pubblica sosteneva che l'evento non fosse imputabile agli insegnanti o a carenze organizzative e che fosse dipeso piuttosto da un caso fortuito, da un evento repentino e non certo prevedibile. 

Proprio prendendo in esame le modalità di svolgimento della ricreazione e il comportamento della docente la giudice ha escluso che la colpa dell'accaduto potesse ricadere sulla scuola. In particolare, nella sentenza viene valorizzato come l'istituto avesse predisposto adeguate cautele per evitare comportamenti illeciti e dunque pericolosi. In particolare, dopo avere radunato gli alunni di ogni classe in un posto predefinito, il rientro in classe avveniva disponendo gli alunni in fila per due. La docente, per parte sua, si poneva all'inizio della fila per evitare corse precipitose in classe. Insomma, la scuola per il tribunale aveva fatto la sua parte.

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