La drammatica testimonianza dell'elicotterista Piergiorgio Rosati: «Ti assalgono per scappare»

di Luisa Pizzini

È ora di cena a Kathmandu, la capitale del Nepal. Le 16 di ieri, in Italia. Per Piergiorgio Rosati, elicotterista della Provincia, è la fine della prima giornata trascorsa a fare la spola con l’elicottero tra la zona di Langtang, una delle più devastate dal terremoto, e i paesi all’imbocco della vallata dove arrivano gli elicotteri militari. Ad ogni «giro» può caricare cinque o sei persone, non di più. Ma sono centinaia lassù, nelle valli degli itinerari di trekking, a chiedere di poter scendere.
Sta per sedersi a tavola Rosati, assieme all’alpinista di Mezzano Giampaolo Corona ed al suo compagno di spedizione, François Cazzanelli. Erano in viaggio per scalare l’inviolato Kimshung, ma hanno deciso di raggiungere Kathmandu per poter essere d’aiuto ai soccorsi.

La cena è il primo pasto di una giornata cominciata all’alba per il pilota trentino d’alta quota. Dalla cabina del suo velivolo ha potuto vedere chiaramente gli effetti devastanti del sisma e negli occhi gli sono rimaste quelle immagini indescrivibili. Qualcuna l’ha pubblicata sui social network per rendere l’idea dell’accaduto. «È apocalittico», racconta Piergiorgio Rosati. «È venuta giù mezza montagna. Devo dire che non avevamo mai visto una cosa simile. Mi ricorda quel che era accaduto in Valtellina, ma qui è peggio. Quasi tutto distrutto».
Le ha anche avvertite le scosse che continuano a far tremare la terra in Nepal. «Abbiamo sentito le scosse qui a Kathmandu, ma ho visto diverse valanghe e frane anche molto violente mentre sorvolavo Langtang». Ma non c’è tempo per la paura in questi casi. Anche perché c’è un obiettivo che sta particolarmente a cuore a Rosati in questa «missione» di soccorso: «Voglio portare a casa il mio grande amico Oskar (Piazza, ndr) ed aiutare la gente con ciò che posso. Tutti lo fanno, ognuno a modo suo». Non vuole apparire come un eroe e ci tiene a precisarlo mentre racconta ciò che ha visto in quella che si sta configurando come una delle più grandi tragedie umane, con oltre 10 mila morti stimati.

A cena con lui ed i due alpinisti, ieri, c’era anche il console italiano. «Discuteremo della situazione e cercheremo di capire il da farsi», spiega Rosati poco prima di sedersi a tavola. «Certo il brutto tempo che ha caratterizzato tutta la giornata di oggi (ieri per chi legge, ndr) non aiuta i soccorsi. Con Corona e Cazzanelli siamo arrivati a Kathmandu lunedì mattina. Loro hanno deciso di cambiare indirizzo alla spedizione che doveva portarli in cima al Kimshung e rimarranno qui nella capitale tre o quattro giorni a dare una mano, mi aiuterenno a portare a casa Oskar Piazza. Sono alloggiati in un albergo diverso dal mio, nel centro della città, ma stasera ceniamo assieme. E in albergo è l’unico posto dove riusciamo a comunicare, di solito attraverso internet, perchè le linee sono molto disturbate».
Anche seduti attorno alla stessa tavola o sdraiati nel letto dell’albergo, però, non è facile rilassarsi. «Dormo vestito e con la porta aperta» svela Rosati. Del resto le scosse a distanza di giorni continuano, bisogna essere sempre pronti.
La sveglia ieri è suonata alle 5 per lui. Inizialmente chi organizza i soccorsi gli aveva chiesto di volare nella zona dell’Everest. «È quella più conosciuta, dove sono dirette la maggior parte delle spedizioni. Ma anche quella più commerciale. Il dramma vero invece lo stanno vivendo nelle altre valli, come in quella di Langtang dove alla fine ho lavorato oggi (ieri, ndr). E sorvolando il villaggio ho visto dove è morto Oskar. Il nostro obietivo è quello di poterlo riportare a casa nei prossimi giorni. Ma i limiti da dover superare per poterlo fare sono davvero tanti».

Nel frattempo Rosati è d’aiuto agli altri. A chi è rimasto ancora in cima a quelle montagne, magari in valli raggiunte dopo giorni e giorni di cammino ma che ormai sono diventate una sorta di strada senza ritorno, chiuse dai detriti delle valanghe e delle frane che le continue scosse provocano a ripetizione. «Sono centinaia ancora le persone che chiedono di poter scendere a valle - racconta il soccorritore trentino - ma ogni volta sull’elicottero non posso trasportarne più di cinque, al massimo sei. Dobbiamo improvvisare una sorta di triage, valutare chi ha più bisogno, caricarlo e portarlo a valle».  Nel frattempo scende la notte a Kathmandu. Poche ore di riposo. Fino all’alba, quando sarà ora di ripartire per Langtang nella missione più difficile. Senza Oskar.

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