S. Chiara, così si lavora in Chirurgia pediatrica

C’è un mondo piccino, all’interno del più grande mondo dell’ospedale Santa Chiara di Trento. Un mondo coloratissimo, dove grandi disegni raccontano bellissime storie, dove i pupazzi ti strizzano l’occhio e dove, accanto a macchine sofisticatissime, ti capita di incrociare pure una «playstation». Quel mondo è il reparto di chirurgia pediatricaLa videointervista al primario

di Renzo Moser

 

C’è un mondo piccino, all’interno del più grande mondo dell’ospedale Santa Chiara di Trento. Un mondo coloratissimo, dove grandi disegni raccontano bellissime storie, dove i pupazzi ti strizzano l’occhio e dove, accanto a macchine sofisticatissime, ti capita di incrociare pure una «playstation». Quel mondo è il reparto di chirurgia pediatrica, e tutti quei colori servono a far sì che i bambini si sentano meno all’ospedale e più nelle stanze di un asilo, nelle aule di una scuola (non a caso il reparto può contare anche su una maestra) o nella loro cameretta di casa.

 

Una volta, quel mondo, aveva un nome tutto suo. Chi ha qualche anno sulle spalle, se lo ricorderà: a Trento lo chiamavano «ospedalino», e già dal nome capivi che era tutto per loro, per i bambini.
L’ospedalino (in realtà «Ospedale degli Angeli Custodi», in via della Collina) fu chiuso a inizio degli anni Novanta, quando venne trasferito al Santa Chiara. Ma l’idea di una struttura a tutto tondo dedicata solo ai bambini, è rimasta. E fa parte, per così dire, anche del dna del reparto di chirurgia pediatrica, oggi guidato dal primario Mario Andermarcher e forte di sette dirigenti medici (Roberto Ghezzi, Maria Teresa Bortolami, Hamid Reza Sadri, Fabio Beretta, Michele Corroppolo, Giosuè Mazzero, Clara Revetria). Proprio quel dna fa di questo reparto qualcosa di raro, se non di unico (in Regione in effetti lo è) in Italia. Lo si capisce anche da un dato: la provenienza dei pazienti, che arrivano non solo dal Trentino, ma anche dal feltrino e dal bresciano e, più recentemente, anche dal veronese e dal Sudtirolo, visto che nei due ospedali di riferimento le due unità sono state «declassate» a quello che in gergo ospedaliero si chiama «struttura semplice».

 

A Trento, invece, si fa tutto, dalla nascita (prematuri compresi) fino ai 14 anni e oltre, con i reparti di pediatria (primario Annunziata di Palma a Trento e Ermanno Baldo a Rovereto), ostetricia e ginecologia (primario Saverio Tateo) e neonatologia (Massimo Soffiati). Con l’ambizione di crescere: da qualche anno è in atto un deciso rilancio dell’attività della chirurgia pediatrica. L’équipe si è consolidata, si è arricchita di nuove professionalità e ha imboccato con decisione la strada della chirurgia mini invasiva. «Garantiamo - spiega il primario Mario Andermarcher - interventi di chirurgia neonatale, urologica e videoassistita, con le tecniche della laparoscopia, oltre alla tradizionale ortopedia pediatrica, peraltro in continuo aumento. Recentemente abbiamo aperto anche gli ambulatori di gastroenterologia chirurgica pediatrica e urologia pediatrica a Trento e a Rovereto. Oggi siamo in grado di rispondere a tutte le richieste, anche perché finalmente abbiamo, accanto al primario, sette dirigenti medici e oltre venti infermieri. Restano escluse, per ora, le patologie cardiologiche, neurologiche e oncologiche, che dirottiamo nei centri specializzati (Padova soprattutto, ndr)».


Sulle tecniche di chirurgia mini invasiva, in particolare, si è investito molto e con convinzione, sia sul piano delle risorse tecnologiche sia su quello della formazione di medici e infermieri, con scambi e collaborazioni con le cliniche che su questo fronte sono più all’avanguardia in Europa, come quella di Manchester, in Inghilterra.
Il tutto con un approccio multidisciplinare, che ha coinvolto nell’attività, accanto a chirurghi e pediatri, anche figure come il radiologo, l’anatomopatologo, il ginecologo, il neonatologo, il medico nucleare. Il grande vantaggio di queste tecniche è quello di ridurre al minimo l’impatto dell’intervento chirurgico: sul paziente, prima di tutto, visto che si riduce drasticamente la permanenza in ospedale e quasi non restano cicatrici; ma anche sulla famiglia, che deve gestire una «ospedalizzazione» molto più leggera.


Prendiamo come esempio un intervento all’addome. Oggi non si taglia più, si entra dall’ombelico, cioè da una cicatrice già presente, con la sonda con telecamera e con gli strumenti, e da lì si opera. «I vantaggi sono molteplici - spiega ancora il dottor Andermarcher - perché si riducono i tempi di recupero, il dolore post-operatorio, non restano segni e anche il chirurgo, grazie al video, lavora meglio». Se qualche anno fa un intervento di questo tipo necessitiva di sette giorni di ricovero in ospedale e di un periodo di due settimane, o più, di assoluta immobilità, oggi, per quello stesso intervento, si resta in reparto tre giorni, e dopo appena una settimana il bambino può già far ritorno a scuola. Grazie a questo sviluppo si è ampliato il raggio d’azione: se prima risultavano assolutamente preponderanti gli interventi di ortopedia e di urgenza, mentre per le altre patologie i piccoli pazienti venivano generalmente dirottati in strutture fuori provincia, adesso il potenziamento dell’équipe e le scelte fatte hanno consentito di allargare l’attività alle patologie legate al rene e alla vescica, alle malformazioni genitali, alle malformazioni dell’intestino, dello stomaco e della parte addominale.
Il tutto ha portato a circa 1.500 gli interventi effettuati ogni anno in sala operatoria, ai quali si aggiungono i casi seguiti in ambulatorio e risolti senza intervento chirurgico. Senza contare, poi, i progetti di chirurgia pediatrica solidale in Togo e Madagascar.

 

L’obiettivo, adesso, è di diventare un vero e proprio punto di riferimento per tutte queste patologie. E per arrivare a questo è anche indispensabile farsi conoscere. Ecco perché è già partito un programma che punta a costruire una rete con i pediatri del territorio. Dal prossimo settembre, in particolare, prenderanno il via una serie di incontri, una decina, con i pediatri, nei quali verranno approfonditi altrettanti temi. Non sempre, infatti, l’attività e le potenzialità del reparto sono note a tutti: «Vogliamo che i pediatri sappiano dove indirizzare i pazienti», osserva Andermarcher. Ma come la mettiamo con le liste d’attesa, vero e proprio incubo di ogni dirigenti della sanità? «Per quanto riguarda le urgenze - spiega il primario Andermarcher - non ci sono problemi. Negli altri casi, si fanno delle priorità: quelli che presentano rischi maggiori vengono affrontati in temi molto stretti, nell’arco di 15 giorni, quelli che possono aspettare vengono dilazionati nel tempo».

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