Bar e ristoranti: in Trentino a rischio 6.000 addetti

di Francesco Terreri

Le nuove misure restrittive per la pandemia che potrebbero arrivare entro poche ore, con drastiche riduzioni degli orari di bar e ristoranti, metterebbero in ginocchio il settore dei pubblici esercizi e della ristorazione, che in Trentino conta 3.852 attività con quasi 15.000 addetti. Di essi, due terzi sono stagionali e d'estate nel complesso hanno lavorato, sia pur per meno mesi del solito. Gli altri, i 6.000 che lavorano tutto l'anno, rischiano di tornare in cassa integrazione o di perdere il lavoro. Perciò mercoledì prossimo 28 ottobre baristi e ristoratori scenderanno in piazza e chiederanno nuovi sostegni al governo e alla Provincia: «Ulteriori risorse a fondo perduto, oltre a pagare la cassa integrazione che ancora non è arrivata a tutti - afferma il presidente dell'Associazione Ristoratori di Confcommercio Trentino Marco Fontanari - Ma bisogna fare presto, altrimenti ne vanno di mezzo imprese e dipendenti».

La manifestazione di mercoledì è indetta in tutta Italia da Fipe Confcommercio nazionale e organizzata dall'Associazione dei Ristoratori e dall'Associazione dei Pubblici Esercizi di Confcommercio Trentino. Si svolgerà, tengono a sottolineare gli organizzatori, nel pieno rispetto delle norme di sicurezza anticontagio Covid-19 e in stile Confcommercio: niente slogan, urla, bandiere e nemmeno offese o violenza. «Simbolicamente stenderemo a terra le nostre tovaglie per dimostrare lo stato in cui versano le nostre attività» dice Fontanari.

«Le nuove regole mettono in ginocchio le nostre aziende - sostiene la presidente dei Pubblici Esercizi Fabia Roman - Chiediamo a gran voce sostegno concreto per noi e per i nostri collaboratori. Scenderemo in piazza per una manifestazione silenziosa con l'obiettivo di essere ascoltati dalla politica».
L'estate non è andata tanto male, soprattutto nelle zone turistiche, meno sull'asta dell'Adige. Molti lavoratori del settore hanno fatto cassa integrazione durante il lockdown e subito dopo: le ore di cassa autorizzate da maggio a settembre al comparto alloggio e ristorazione in Trentino ammontano a ben 2,3 milioni. Ora in cassa sono in pochi. «Ma già l'annuncio del Dpcm che stabiliva la chiusura a mezzanotte ha ridotto il lavoro la sera - spiega Fontanari - La gente è spaventata. I titolari hanno comunque aperto col personale e i costi in carico. Ci sono aziende con cali di fatturato importanti. Per noi la salute pubblica viene sopra di tutto. Siamo stati presenti sui tavoli di lavoro fin dai primi istanti della crisi, abbiamo contribuito a stilare i protocolli per la riapertura. Il problema è la velocità dei provvedimenti di ristoro. Il primo fondo perduto della Provincia è stato insufficiente. Ci sono ancora aziende che hanno anticipato la cassa integrazione e non sono state rimborsate e lavoratori che devono prenderla. Ci avviamo verso la stretta senza che si prevedano misure adeguate per sopportare limitazioni, oneri aggiuntivi, chiusure anticipate o, addirittura, definitive».

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