Che cosa sono i «contratti di rete» e perché possono aiutare l'agricoltura trentina a trovare manodopera

di Francesco Terreri

Diventa concreta la possibilità di vedere attuati, in un futuro prossimo, i contratti di rete in agricoltura. Di più, il disegno di legge, che prevede misure a sostegno di famiglie e imprese per affrontare l’emergenza Covid-19, che sarà discusso in consiglio provinciale nel fine settimana, potrebbe essere emendato per dare supporto normativo ai contratti di rete in ambito agricolo.

È un tema di grande attualità, perché i contratti di rete sono invocati, come alternativa ai voucher, per sbloccare l’assunzione di manodopera nei campi e nelle aziende agricole, questione che, con il blocco dei lavoratori dall’estero (due terzi dei 30 mila occupati ogni anno) rischia di mettere in grosso affanno un gran numero di aziende agricole. Tentativi di procedere con i contratti di rete ve se sono stati anche in passato, ma niente di concreto al dunque.

Oggi, si registra un cambio di passo. La Federazione trentina della cooperazione ha dato incarico ad UniTn (Facoltà di giurisprudenza) di elaborare uno studio di fattibilità. Anche sulla scorta di cooperative associate che da tempo vi stanno pensando, come la Cantina sociale di Toblino e la Multiservizi di Mezzocorona, che potrebbero fare da battistrada. Del resto, quella dei contratti di rete è una previsione già indicata nel patto di collaborazione sottoscritto da Federcoop con la Provincia.

A costruire la cornice giuridica è Riccardo Salomone, il docente giuslavorista che è anche presidente dell’Agenzia del lavoro del Trentino. «I contratti di rete» spiega Salomone «sono previsti dalla legge 33 del 2009. Fino ad ora, però, sono stati utilizzati soprattutto per alcuni settori, legati al digitale, alla tecnologia, ai servizi, poco in agricoltura».

Sono uno strumento giuridico, con tanto di partiva Iva e sede legale, e una precisa ragion d’essere. «Non basta che due o più imprese decidano di dare vita ad un soggetto distinto» dice il giuslavorista «è infatti fondamentale che sia indicato lo scopo per il quale le imprese aderiscono al contratto di rete. Un obiettivo collegato a processi di innovazione e miglioramento della produttività. «In mancanza di tale scopo comune, il contratto diventa illegittimo. Tutto ciò per dire» aggiunge Salomone «che la condivisione di manododera, la sua formazione, deve essere inserita in un contesto di innovazione e miglioramento produttivo. Se il contesto è questo, anche in agricoltura si può prevedere lo scambio di risorse umane, l’inserimento di lavoratori fragili e interventi puntuali. Saranno imprese che vogliono innovare, nei macchinari, nella produzione, nelle tecnologie, il passaggio al bio, ad esempio».

In concreto, lo scambio di manodopera potrà avvenire con forme di distacco o con forme di co-datorialità. «La stessa persone» esemplifica il docente «può essere dipendente da più imprese, per le quali lavora in periodi diversi». I tempi del lavoro in un vigneto di Merlot ad Aldeno sono differenti da quelli in una vigna di Solaris a Grumes. «Il contratto di rete tipo è pronto, siamo nella fase di messa a terra» dice Salomone «lo potremo testare in settori tra loro trasversali. È una opportunità sia per le imprese, che avranno manodera più flessibile e formata, sia per i lavoratori, perché saranno contrattualmente tutelati in modo trasparente. Il contratto di rete fa diventare inutili i voucher. È un modello win-win, che anche le organizzazioni sindacali potrebbe trovare interessante».
Quanto al citato disegno di legge della Provincia, l’idea è di emendare l’articolo 6 («Sostegno delle aggregazioni aziendali») con un quarto comma che prevede il supporto pubblico anche ai contratti di rete in agricoltura.

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