Fusione Fiat-Peugeot-Citroen cosa cambierà per i marchi e per il made in Italy

La fusione Fca-Psa avrà anche un impatto molto forte sulle auto che i consumatori troveranno dal 2020 in poi nelle concessionarie. I due gruppi a livello globale detengono ben 14 marchi commerciali, in Italia ce ne sono otto: cinque per Fca (Fiat, Alfa Romeo, Lancia, Maserati e Jeep), tre quelli di Psa (Peugeot, Citroen e Opel). Prevedere l’impatto sui listini però non è impossibile.
Secondo Gian Luca Pellegrini, direttore del mensile leader di settore ‘Quattroruotè si tratta di «un’operazione giusta e necessaria per entrambi i gruppi. È più necessaria per Fca che Psa, che ha pagato di più sia per garantirsi il controllo del nuovo gruppo, sia per mettere mano negli Stati Uniti e sulla rete di distribuzione di Jeep attraverso cui vendere i prodotti Peugeot». Secondo Pellegrini sarà cruciale la gestione dei brand, «le sovrapposizioni ci sono, ma non sono poi così tante». Ad esempio, Fiat in questo momento agisce sul segmento A, dove invece Psa non c’è. «500 potrebbe diventare un marchio a parte, lasciando spazio alla Panda, e magari tornerà in auge il progetto della 120» spiega ancora il direttore della rivista fondata 64 anni fa da Gianni Mazzocchi, secondo cui il progetto lanciato a Ginevra diventa più fattibile grazie a un posizionamento economicamente abbordabile e allestimenti molto variegati.

«Sono curioso di capire il futuro di Alfa Romeo e Maserati» conclude Pellegrini, segnalando come Psa potrebbe guardare con interesse alla piattaforma denominata Giorgio, su cui sono costruite Giulia e Stelvio, come possibile approdo di modelli Psa, smentendo chi invece prevede solo migrazioni di modelli Fca verso le due piattaforme francesi.
Dubbi e interrogativi che si pone anche Giuseppe Berta, docente alla Bocconi di storia dell’industria, che segue le vicende del Lingotto da oltre 40 anni. Fiat sembra essere il problema principale in questa fusione, secondo il professore torinese: «Qualcosa su questo marchio bisogna fare, altrimenti diventa la 500 con un appendice che si chiama Panda. Si legge che Fiat potrebbe diventare la Dacia di questo gruppo, si potrebbe anche pensare». Incognite di questo tipo ricadono direttamente sugli stabilimenti: «Le nostre fabbriche sono di buon livello, vale la pena investirci per sviluppare la produzione. Ma bisogna metterci qualcosa dentro per valorizzarli. Mi chiedo se ci siano le risorse per farlo». Stesso discorso per Alfa e Maserati, «su cui devi investire, devi lanciare qualcosa di nuovo, ma cosa c’è?» si domanda Berta.

Ma per ogni marchio ci sono clientele diverse, e non è facile far cambiare casa costruttrice agli acquirenti italiani, che sono molto fidelizzati« racconta Jura, che è anche presidente dell’Ucif, l’unione dei concessionari Fca italiani. «Certo in Italia non sarà semplice da gestire» assicura. Anche lui, è su Fiat che ha i maggiori dubbi, con la «500 che dà un valore aggiunto, ma non mi convince l’idea di farne una nuova Dacia. Fiat non è comparabile a quel brand a livello di tecnologia, e poi non è una filosofia che possa piacere a Carlos Tavares».

A livello commerciale, l’organizzazione di Fca è più complessa, viste le sue dimensioni in Italia, ma manca la gamma a differenza di Peugeot. «La vera sfida sarà capire come si spostano i vari brand e le relative clientele. Una sfida complessa, che però non deve preoccupare chi già possiede auto di questi due gruppi, perchè sono tutte vetture per cui esistono i ricambi e che hanno un ottimo mercato dell’usato» garantisce.

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