L'appello della sindacalista: «Per appoggiare i lavoratori non fate la spesa la domenica»

di Zenone Sovilla

«Abbiamo diversi fronti particolarmente critici sui quali ci batteremo con determinazione, dagli appalti dei multiservizi negli enti pubblici alle condizioni dei lavoratori nel commercio».

Paola Bassetti si accalora, elencando una serie di emergergenze, a poche ora dall’elezione al vertice della Filcams Cgil del Trentino, la categoria sindacale dei lavoratori del commercio, del turismo e dei servizi il cui segretario uscente è Roland Caramelle.

A margine dell’assemblea elettiva, svoltasi ieri mattina a villa Madruzzo, Paola Bassetti spiega all’Adige quali sono i capitoli più delicati che vedono il sindacato impegnato in un confronto difficile con le istituzioni, su un versante, e con il mondo dell’imprenditoria privata, sull’altro. In prima linea da tempo sulle condizioni allarmanti dei lavoratori in appalto (dalle portinerie universitarie alle pulizie per il Comune di Trento), la nuova segretaria annuncia una lotta decisa per garantire livelli dignitosi a tutti nella maxi gara provinciale del settore e pure nei futuri bandi dell’ospedale (ristorazione, pulizie e sanificazione). E la Filcams non esclude il ricorso agli scioperi, per fermare la «deriva di esternalizzazioni di cui gli unici a pagare il conto sono migliaia di lavoratrici e lavoratori».

Ma anche il fronte del commercio è caldo (pure qui con le donne spesso più esposte) e mentre si avvicina la corsa agli acquisti del periodo prenatalizio, la neosegretaria lancia un appello sulla delicata questione del lavoro domenicale.

«Si tratta di un tasto particolarmente doloroso per chi si vede costretto a stare lontano dalla famiglia anche la domenica, malgrado sia dimostrato che queste aperture non portano alle aziende aumenti dei ricavi. Semplicemente i clienti spalmano le loro spese su sette giorni anziché su sei. Ormai, anche dal punto di vista contrattuale, le domeniche sono considerate in sostanza quasi come un giorno feriale, le maggiorazioni sono irrisorie se rapportate all’impegno richiesto. Per moltissimi dipendenti significa fare fatica a conciliare il lavoro e la famiglia. Le conseguenze sul benessere psicofisico sono pesanti».

Ma se non c’è un ritorno economico, perché aumentano le porte aperte di domenica e nelle festività?

«È una sorta di riflesso condizionato. Se un’impresa decide di aprire, allora anche i concorrenti si dicono che bisogna fare lo stesso, per timore di perdere la clientela. In realtà di questi tempi i consumatori non si fidelizzano così, si spostano continuamente in base alla presunta convenienza».

Di certo per molte persone fare shopping la domenica ormai è un’abitudine...

«Una cattiva abitudine alimentata da questo corto circuito, nel quale fra l’altro a Trento e a Rovereto si registra un gigantismo assurdo di superfici commerciali, numero di supermercati (ovviamente sempre aperti) e consumo di suolo, a scapito della qualità della vita di tutti. Di chi è obbligato a lavorare ma anche di chi la domenica finisce al centro commerciale, anziché fare qualcosa di più interessante, di sociale, di culturale».

A questo punto sembra quasi un problema antropologico che richiede una riflessione profonda più che una soluzione legislativa.

«Di certo innanzitutto ci vorrebbe un’azione istituzionale per introdurre regole più stringenti. A livello nazionale i cinquestelle avevano annunciato una stretta sulle domenica, ma sembra tutto finito in archivio. Poi, certo, tutti siamo chiamati a uno scatto culturale, a un cambiamento radicale. Per questo lancio un appello ai consumatori affinché evitino di fare la spesa e in generale lo shopping la domenica. È una battaglia culturale che possiamo vincere tutti insieme. Non comprare la domenica e nelle festività è una forma di solidarietà tra lavoratori: si creerebbero condizioni più favorevoli a nuove norme più severe».

C’è chi dice che con i ritmi di vita attuali la domenica resta l’unica finestra utile per molte famiglie...

«Non ci credo. Basta organizzarsi e dal lunedì al sabato si trovano il tempo per fare la spesa, siamo pieni di supermercati aperti fino a tardi, che nemmeno nelle metropoli europee... Il problema semmai ce l’hanno i piccoli paesi di montagna, dove chiudono i negozi e i panifici. Ma sono sintomi della stessa malattia di un modello di consumi esagerato».

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