Schiaffo alla Cooperazione Cassa Centrale lascia Federcoop

di Francesco Terreri

Il consiglio di amministrazione di Cassa Centrale Banca ha deliberato di uscire dalla Federazione Trentina della Cooperazione. La motivazione, ufficialmente, è tecnica. Secondo la legge regionale 5 del 2008, con le modifiche approvate nel 2016, la revisione delle cooperative, delle Casse rurali e degli «enti capogruppo di gruppi cooperativi» è affidata a Provincia e «associazione di rappresentanza del movimento cooperativo», cioè, in Trentino, la Federazione. Ma Cassa Centrale sta diventando una capogruppo nazionale e ha bisogno di revisori nazionali.

La decisione, tuttavia, non può essere derubricata a mera soluzione tecnica. Di fatto è uno schiaffo alla Cooperazione, una rottura tra i due lati di via Segantini, che negli ultimi mesi si muovevano su lunghezze d’onde differenti, soprattutto sulla riforma del credito cooperativo. E ora i timori sono sulle scelte delle Casse rurali.

Il nodo è proprio il futuro delle Casse, della loro autonomia, carattere mutualistico, radicamento territoriale. Sia il presidente «di transizione» Mauro Fezzi che la nuova numero uno di Federcoop Marina Mattarei non hanno fatto mistero della loro posizione secondo cui la riforma del credito cooperativo non va «subìta», le modifiche contenute nel decreto Milleproroghe sono positive, «l’efficienza sul mercato è ineludibile, ma non è l’unico parametro. Occorre mantenere la relazione di prossimità col territorio. Sono le due gambe dell’impresa cooperativa» (Mattarei).

Il passo più recente è la partecipazione al convegno dei critici della riforma a Firenze, dove c’erano Mattarei e Renzo Tommasi del cda (non uno del credito, perché le Casse rurali hanno disertato l’appuntamento).

Dall’altra parte c’è una banca che sta diventando una capogruppo nazionale e a cui i legami locali stanno stretti. Cassa Centrale e le società controllate (informatiche, assicurative, di risparmio gestito) avranno a regime più di 1.000 dipendenti, di cui 600 in Trentino, gli altri nelle sedi operative in varie regioni, da Milano a Bologna, da Padova a Udine. Una trentina di persone arrivano proprio dalla Federazione, una ventina dalle Casse rurali.

Gli spazi di via Segantini non bastano per il quartier generale di un gruppo nazionale da 74 miliardi di euro di attivo. In attesa di una soluzione - si parla anche dell’acquisizione di tutti gli spazi della Federazione, che si sposterebbe - Ccb ha affittato due piani in Federcoop, spazi presso il Sait e in via Brennero, verso Lavis.
Sull’autonomia delle Rurali, i patti di coesione appena arrivati per essere discussi nelle prossime assemblee indicano un certo grado di autonomia per le Bcc con i conti a posto, quelle col semaforo verde scuro o verde chiaro. Vanno invece sotto tutela, dalle politiche di credito alla nomina del cda, le Rurali in semaforo giallo o rosso. In Trentino, tre quarti delle 20 Casse avrebbero quindi un’autonomia salvaguardata, mentre un quarto no.

Di fatto, però, se tutto va come da programma dal 1° gennaio parte il gruppo nazionale e, a quel punto, la pressione sulle Casse rurali per lasciare la Federazione locale potrebbe crescere. Per Federcoop non è solo un problema politico ma anche economico. I contributi delle Rurali sono già scesi nel 2017 a 3 milioni a seguito delle fusioni. Cassa Centrale ha posto il problema di pagare meno perché i servizi sono ridotti a seguito della nascita del gruppo. La Federazione nelle ultime riunioni sul tema aveva proposto di chiudere la questione con una cifra a regime di 1,1 milioni. Ma la questione resta aperta.

Di tutto questo si parlerà certamente venerdì all’incontro Ccb-Rurali, ultima tappa del tour nazionale in corso in questi giorni.

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