Crisi meteo, fatturato 2017 in calo dell'8% Frutteti bio: 567 ettari, 1.000 entro il 2020

di Francesco Terreri

Il fatturato complessivo del distretto della frutta trentina si attesta nel 2017 sui 400 milioni di euro. Nel 2016 era pari a 435 milioni, l'83% dei quali derivati dalla vendita di mele. Il calo, pari all'8%, dipende essenzialmente dalla crisi meteo, cioè dalle gelate e dalle grandinate che l'anno scorso hanno falcidiato la produzione. Un effetto simile si è prodotto sulle esportazioni: nel 2017 sono pari a 77,2 milioni, il 9,4% in meno dell'anno precedente. Quest'anno, ad oggi, si prevede invece un buon raccolto. 

Ma per avere il valore effettivo del distretto, sottolinea il professor Roberto Della Casa alla presentazione degli obiettivi 2018 del progetto Trentino frutticolo sostenibile, dobbiamo aggiungere l'indotto e le «esternalità», cioè il mantenimento del territorio da parte dei contadini. «Quanto dissesto ci sarebbe se non ci fossero le coltivazioni? - si chiede Della Casa - La frutticoltura trentina non è intensiva, come si è detto a lungo, ma iper specializzata». Il tema della circoscrizione distrettuale della frutticoltura trentina sarà analizzato per la prima volta nell'edizione 2018 del Bilancio di sostenibilità, che contiene anche i dati economici aggiornati del settore. 

La frutticoltura trentina va resa però più sostenibile dal punto di vista ambientale. Le novità in questo senso sono state presentate ieri, alla Cavit di Ravina, da Apot, l'Associazione produttori ortofrutticoli trentini. In primo luogo si accelera sulla coltivazione biologica. Nel 2014 gli ettari di frutteti bio erano 361, su un totale di oltre 10 mila ettari di coltivazioni frutticole. Nel 2017 sono saliti a 567. Quest'anno dovrebbero sfiorare i 600, di cui 435 in fase di conversione. Ma l'obiettivo del 2020, entro tre anni, è di raggiungere i 1.000 ettari coltivati con metodi biologici. 

Poi, come ha annunciato il direttore di Apot Alessandro Dalpiaz , entro l'anno si arriverà all'eliminazione totale del pesticida Clorpirifos etile, uno dei più pericolosi per gli esseri umani, mentre il Clorpirifos metile è proibito in numerose zone del Trentino e ammesso con forti limitazioni solo in alcune aree, quelle dove bisogna intervenire sugli scopazzi. A questo si aggiungono le limitazioni volontarie per l'impiego di diserbanti in generale, che prevedono una fascia di larghezza massima di 80 centimetri sotto fila su un massimo di un terzo dell'appezzamento, e l'impiego del glifosato, sostanza controversa, con dose ridotta a 2,4 litri su ettaro in un unico trattamento o due interventi a metà dose.
Dalpiaz ha inoltre sottolineato gli impegni vincolanti come l'obbligo di utilizzo di quantitativi ridotti di acqua e una serie completa di ugelli antideriva per gli atomizzatori impiegati nella difesa fitosanitaria. «Con questi passi si aprono nuove prospettive per l'introduzione di macchine per il controllo meccanico del cotico erboso, verso cui il sistema intende puntare e investire».
Tra le altre iniziative, la Partnership Europea per l'Innovazione (Pei), che punta a soluzioni sostenibili nella coltivazione del mirtillo, nel rilancio della susina di Dro, oggi certificata Dop, e nelle tecniche di controllo della mosca del Mediterraneo con antagonisti naturali. Poi l'alleanza tra Apot e Fondazione Mach, con un piano di interventi da 301.000 euro, e il progetto di ricerca avviato lo scorso anno con Assomela e l'Università di Bolzano. Nel corso di quest'anno, inoltre, si completerà l'analisi e la certificazione della biodiversità dei suoli trentini coltivati a frutta diversa dal melo.
Dalpiaz ricorda la collaborazione sulla sostenibilità con la viticoltura trentina, su cui si sofferma nel suo intervento il presidente di Cavit e del Consorzio Vini Bruno Lutterotti . Intervenuti anche il presidente Apot Ennio Magnani e l'assessore provinciale all'agricoltura Michele Dallapiccola , che ha rimarcato l'importanza del metodo dell'esperimento scientifico «oggi messo in discussione in molti campi».

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