Cooperative trentine, tutti i limiti del «sistema» A confronto il presidente Fezzi e il professor Andreaus

di Domenico Sartori

«Ho accettato un grande rischio, una sfida più grande di me». Parole di Mauro Fezzi, presidente della Cooperazione trentina, che si è confrontato con il professor Michele Andreaus, docente di economia aziendale dell’Università di Trento. Materia del contendere: il futuro del sistema cooperativo locale. Fezzi e Andreaus sono stati i due protagonisti del «faccia a faccia» promosso dall’Adige.

Michele Andreaus: «Il credito cooperativo è morto. In dieci anni cambierà tutto per le banche. Neanche il modello di gruppo nazionale è sostenibile»


GLI ERRORI E I PUNTI DI FORZA DI FEDERCOOP

Il direttore Pierangelo Giovanetti ha ricordato a Fezzi i tanti errori, anche quelli di qualche consorzio agricolo. «Errori ne sono stati fatti - risponde il capo di Federcoop - ma i nostri consorzi non sono andati a produrre in Romania. Quante industrie venute da fuori, sono rimaste in Trentino? Oggi restano i capannoni vuoti. È grazie ai consorzi che il vino della val di Cembra arriva negli Stati Uniti. E il Pil dell’agricoltura cooperativa permea l’economia trentina».

I RISCHI DEL MODELLO MELINDA

Secondo Michele Andreaus «Melinda è una delle cose migliori fatte in Trentino negli ultimi 40 anni: ha creato benessere, coesione sociale, mutualità, trasformato il territorio. Ma Melinda è un modello di business che presenta rischi non banali. Quando è nato il consorzio, non c’era la Polonia che produce mele per lo stesso mercato. Melinda deve scegliere: lavorare sulla quantità e la leva del prezzo o valorizzare al meglio il 3% della produzione che rappresenta puntando sulla qualità».

CONTRATTO BANCARIO

«Tra dismissioni con il fondo occupazione e trasferimenti nel gruppo nazionale di Cassa centrale banca» spiega Fezzi «avremo circa 50 unità in meno in Federazione. Dovremo individuare nuove aree di business, dalla salute all’educazione».

E, più sul concreto, Fezzi aggiunge: «In Federazione c’è il contratto di lavoro del settore bancario, molto costoso. Si potrà pensare a contratti di solidarietà o a modifiche contrattuali, non una novità per il mondo del lavoro: si guardi a Confindustria Trento per non andare lontani. La prima cosa da fare, ora, è trovare un direttore, perché ho una macchina senza guidatore».

NON C’È CLASSE DIRIGENTE

«Ma il ricorso della Federazione ad un cacciatore di teste per trovare un direttore fa pensare» dice Andreaus «diverso è per i consorzi come Cavit che lo pescano dal profit per dominare i mercati... Vuol dire che non si è riusciti in 15 anni a trovare e far crescere risorse interne».

Fezzi, anche in questo caso, riconosce: «È evidente che non c’è stato uno sforzo di generare una classe dirigente: è una scommessa che si doveva giocare tempo fa». Una «sberla» ai dodici anni di presidenza Schelfi, mai nominato, e all’erede lampo Fracalossi.

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IL CREDITO COOPERATIVO? «È MORTO»

Quanto al credito cooperativo, Andreaus sferza: «È morto. In dieci anni cambierà tutto per le banche. Neanche il modello di gruppo nazionale è sostenibile. Tutte le banche, grandi e piccole, nel retail non guadagnano: perdono. In futuro prevarrà, come sta avvenendo negli Usa, la disintermediazione, microcredito veicolato da una app, con costi di struttura molto bassi».

Ma il socio di una piccola Cassa rurale che ruolo potrà avere in un gruppo nazionale, «a parte ricevere un pezzo di grana in assemblea»?  «La scommessa - risponde Fezzi - è che rimanga un’autonomia della Cassa rurale sul territorio, per il microcredito e il rapporto con il socio. Si potrà innovare: penso alle persone anziane, che con la pensione non ce la fanno, ma hanno patrimoni da valorizzare per integrare il reddito. Si può immaginare un nuovo ruolo di banca della comunità. Poi, più sarà virtuosa, più la Cassa rurale sarà autonoma».

 


 

«I VALORI DI DON GUETTI? METTIAMO DA PARTE LA RETORICA»

Come si coniuga l’idea di don Guetti, fondatore della Cooperazione, nella società e nell’economia di oggi, il presidente di Federcoop Mauro Fezzi dice: «Il richiamo di don Guetti lo mettiamo da parte, si rischia di essere retorici. Oggi, lo strumento cooperativo serve ad affrontare insieme bisogni che non sono quelli di 130 anni fa, quando sorsero le cooperative di utenza, quelle oggi più in crisi, di consumo e del credito. Ambiti coperti in misura rilevante dal mercato».

Al punto che, esemplifica Fezzi, in Trentino, nel consumo ci sono 350 metri quadri di superficie di vendita, più di Lombardia, Veneto e dell’Alto Adige. «Però la Famiglia cooperativa in oltre 200 casi è l’unico punto di approvvigionamento, punto di aggregazione e innervamento sociale sul territorio».

Fezzi, che riconosce gli errori fatti, argomenta: «Non c’ero, ma la progettazione degli investimenti del Sait risalgono ai primi anni 2000, e da allora il mondo è stato stravolto dalla crisi, che nessuno aveva previsto, neanche gli economisti».

Andreaus ribatte: «Fezzi dice di guardare avanti, ma i principi di don Guetti, la solidarietà e la mutualità sono valori attuali. È che c’è stata una fortissima commistione con la politica, come Fezzi ha riconosciuto quando ha ricordato che nel 2008 il credito cooperativo fu tirato per la giacchetta dalla Provincia per iniettare liquidità al sistema».

L’economista riconosce che la cooperazione «ha avuto un ruolo di traino per la crescita sociale ed economica del Trentino, sino ad un certo momento. Poi, dagli anni ‘90 il Trentino si è bloccato, ha sparso diserbante sulla formazione di una classe dirigente: quella che c’è è figlia della Dc degli anni ‘80».

E per la cooperazione, secondo Andreaus, il primo problema è quello strategico: «Progressivamente, si è appannata la consapevolezza del ruolo dell’impresa cooperativa, si è perso l’obiettivo. Si è andati avanti a tentoni, fino ad accorgersi che non si è più sostenibili, e allora si taglia più dell’impresa for profit, come fa il Sait».

Andreaus, sul punto, provoca: «Le Famiglie cooperative hanno perso il legame con altri segmenti della cooperazione. Oggi, il primo competitor (il Poli, ndr) è molto più attento ai prodotti a km zero del territorio. E in futuro ci saranno modelli di business completamente diversi, tra cinque anni i consumatori di periferia potranno essere serviti da Amazon».

Fezzi risponde ricordando che il competitor ha esternalizzato la logistica fuori provincia e aggiunge, a proposito dell’auspicata collaborazione con Dao: «Credo che il Sait abbia oggi i numeri per salvarsi da solo, se mette mano alla struttura dei costi.

Ma sia chiaro che, se Sait e Dao trovano punti di contatto su logistica e trasporti, gli esuberi diventeranno 150, avremo un problema più grande».

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