Arrestato Alberto Rigotti L'accusa: bancarotta fraudolenta

Il trentino Alberto Rigotti, 64 anni, presidente del consiglio di amministrazione di Publiepolis, è stato arrestato dalla Guardia di Finanza di Cagliari per bancarotta fraudolenta a seguito del fallimento del gruppo editoriale, con un buco accertato di quasi 15 milioni di euro. Insieme a Rigotti, che aveva tentato, senza riuscirci, un problematico salvataggio del gruppo fondato dall'imprenditore sardo Nichi Grauso, sono stati arrestati altri due componenti del Cda

alberto rigottiIl trentino Alberto Rigotti, 64 anni, presidente del consiglio di amministrazione di Publiepolis, che pubblicava 19 giornali free press, è stato arrestato dalla Guardia di Finanza di Cagliari per bancarotta fraudolenta a seguito del fallimento del gruppo editoriale, con un buco accertato di quasi 15 milioni di euro.

 

Insieme a Rigotti sono stati arrestati altri due componenti del Cda. Si tratta della vice presidente di Publiepolis, Sara Cipollini, 42 anni di Legnano ma residente a Nesso (Como), e del consigliere d'amministrazione Vincenzo Maria Greco, 69 anni, originario di Napoli ma residente a Roma.

 

Entrambi sono attualmente ai domiciliari, mentre Rigotti, che risulta residente a Corrido (Como), si trova in carcere. L'operazione della Guardia di Finanza del comando provinciale di Cagliari è stata portata a termine con la collaborazione dei colleghi di Roma, Milano e Como.

 

La Guardia di Finanza scrive che «l'attivita' investigativa, eseguita dagli specialisti del nucleo di polizia  tributaria, ha fatto emergere che il fallimento della "Publiepolis" era stato una conseguenza di malagestione finalizzata a favorire, senza alcun giustificato motivo, alcuni creditori in danno di altri. E' infatti emerso che nell'arco di 4 anni (dal 2007 al 2010) sono stati utilizzati beni nonché patrimoni della "Publiepolis" per pagare i creditori della sua capogruppo, la "Epolis", senza alcuna tutela per la par condicio creditorum, per un valore complessivo di quasi 15 milioni di euro. Il tutto attraverso insidiosi artifizi contabili e bancari, con dissimulazioni documentali». «La ricostruzione delle vicissitudini societarie - continua l'ordinanza - ha permesso altresì di appurare che i responsabili della bancarotta non hanno disdegnato di destinare a proprio ed escusivo interesse beni quali automobili nonché somme di denaro indebitamente prelevate dalle casse della società o tramite carte prepagate o bonifici poi utilizzati nei modi e per le finalità piu' svariati (alberghi, viaggi, soggiorni, palestre esclusive). A fronte di tali evidenze la procura di Cagliari, recependo le conclusioni operative della polizia giudiziaria, ha richiesto ed ottenuto l'emissione da parte del giudice della indagini preliminari del tribunale di specifici provvedimenti di misurecautelari personali che sono stati eseguiti in contemporanea e hanno portato all'arresto dei dirigenti della società».

 

Il gruppo editoriale era stato dichiarato fallito nel gennaio del 2011 dal Tribunale fallimentare di Cagliari. Editava quotidiani diffusi in tutta Italia che sospesero le pubblicazioni dall'estate del 2010. Nel gennaio 2011 l'azienda, in un tentativo estremo di evitare il tracollo, aveva proposto al giudice del Tribunale fallimentare di Cagliari di spalmare i debiti in sei anni. In particolare, Alberto Rigotti, attraverso i suoi rappresentanti, aveva proposto un concordato in 70 rate con i creditori privilegiati. Si era anche ipotizzata la ripresa delle pubblicazioni da gennaio, e l'editore aveva garantito, inoltre, che sarebbero stati pagati, come chiesto dalla Fnsi, gli stipendi arretrati ai dipendenti. Ma la sentenza di fallimento chiuse ogni porta.

 

La società aveva operato, con scarso successo, nel  mercato del free-press dal primo ottobre 2004 al 27 luglio 2010. Nel 2007 il fondatore del gruppo Nichi Grauso si arrese davanti alle difficoltà finanziarie consegnando le chiavi del gruppo editoriale al finanziere Alberto Rigotti. La sua gestione Rigotti non fu più fortunata se è vero che i conti finali indicavano un «buco» stimato al tempoi in circa cento milioni di euro.

 

Ogni accusa, ovviamente, è tutta da verificare, ma negli ultimi giorni l'inchiesta ha avuto una decisa accelerata, che ha portato alle misure di custodia cautelare.

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