Animali / Fauna

Cervi, caccia nel parco dello Stelvio per ridurne l’impatto: ogni anno se ne potranno abbattere 400

Già messe in conto le contrarietà, per le ragioni più diverse. Alcuni cacciatori della val di Rabbi non ci stanno e non partecipano al corso di formazione per diventare “coadiuvanti” del Parco. I rappresentanti delle consortele, proprietarie dei boschi, sono invece d’accordo. Prevista anche l’opposizione animalista-ambientalista

di Domenico Sartori

RABBI. Sul pendio che sovrasta le case di Somrabbi e Piazzola e nel tardo pomeriggio carpisce gli ultimi raggi di sole che accendono dei colori dell'autunno il ripido versante della val di Rabbi, c'è un recinto. È lì da un quarto di secolo, realizzato e monitorato dal Parco nazionale dello Stelvio. Dentro, è un fiorire di vegetazione, abeti rossi soprattutto. Fuori, felci rinsecchite sotto i larici. Nulla più.

Si parte da qui, guidati dal coordinatore scientifico del Parco, Luca Pedrotti, per capire l'origine del "Progetto Cervo": progetto di conservazione e gestione del cervo nel settore trentino del Parco dello Stelvio. Nel lariceto, all'esterno del recinto, i cervi brucano liberamente e l'impatto sul sottobosco è evidente.

Nei prossimi giorni, la giunta provinciale darà il via libera al piano che prevede il controllo, cioè l'abbattimento, per ridurre di un terzo il numero dei cervi: 400 all'anno per cinque anni, è l'obiettivo. Se tutti i tasselli organizzativi saranno a posto, in novembre potrebbe aprirsi la caccia nel Parco. Per il Trentino, è una novità assoluta. Tanto che la prudenza è massima. C'è stato un confronto nella cabina di regia delle aree protette. 

L’attività di controllo del cervo, finalizzata a ridurne il numero, è una novità per la sezione trentina del Parco dello Stelvio. Ma è realtà dal 2001 nel settore altoatesino e dal 2011 in quello lombardo. Nemmeno con l’aiuto dei cacciatori, il risultato è scontato: in Alto Adige (Val Venosta) si è passati da 1.500 a circa mille, ma l’obiettivo era dimezzarne il numero, per ridurre la densità costruita in 40 anni che ha impattato fortemente sulla rinnovazione del bosco (il Parco misura e monitora il numero dei morsi alla piantine in crescita, ndr). Meno compromessa la zona di Sondrio: qui l’obiettivo è ridurne il numero di un terzo.

Fino ad ora, da circa 1.300 si è scesi a circa 950. Nel settore trentino, sono stati messi in progetto altri due tentativi di intervento. Il primo a fine anni Novanta, il secondo nel 2008. Che non andò in porto, perché madre natura intervenne. L’inverno 2008-’09 con record di neve («Fino a 30 metri di neve all’impianto della Tarlenta a 2.200 metri di quota» ricorda oggi Luca Pedrotti), causò la morte di un migliaio di cervi, riducendone il numero a circa 2 mila.

Si misero di traverso anche i cacciatori della riserva di Rabbi, impugnando davanti al giudice il piano. Da allora, la popolazione è tornata a crescere fino alla soglia dei 3 mila cervi, numero che oggi impone di attivare il nuovo “Progetto Cervo”.

Sono messe in conto le contrarietà, per le ragioni più diverse. Alcuni cacciatori della val di Rabbi non ci stanno e non partecipano al corso di formazione per diventare “coadiuvanti” del Parco. I rappresentanti delle consortele, proprietarie dei boschi, sono invece d’accordo. Ed il Parco ha messo in conto anche l’opposizione animalista-ambientalista.

Nel 2011, la sede lombarda fu bombardata di mail. Il tema, da una parte, è quello della necessità di sopprimere l’animale («il 50% dei cittadini non corcorda con il metodo» spiegano al Parco); dall’altra, il fatto che siano coinvolti proprio i cacciatori (che potranno scegliere di acquistare l’animale abbattuto). Pedrotti elenca le alternative, tutte considerate: recinzione dei boschi per controllarne la popolazione; cattura per spostarli altrove; controllo demografico, cioè sterilizzazione.

Ma sono alternative che non reggono il rapporto costi/benefici: «Su 1.500 cervi, dovremmo sterilizzare circa 700 femmine: non è percorribile. Lo si potrebbe fare solo per piccole popolazioni, di 100-150 cervi. Ed il costo è di 3-4 mila euro a trattamento». Quanto al coinvolgimento dei cacciatori, è inevitabile.

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