Montagna / L’intervista

La Sat centrale "imprenditoriale" e le troppe regole: la dura accusa del presidente roveretano Spagnolli

In vista il rinnovo delle cariche, ma il sodalizio soffre l’emergenza Covid, la mancanza di volontari, la lontananza dei giovani. E anche il cambiamento in atto

di Luisa Pizzini

ROVERETO. Puntuale come ogni anno, anche nella sezione della Sat di Rovereto è cominciato il tesseramento annuale. Ma oltre a confermare e magari accogliere nuovi soci, la sezione quest'anno deve trovare anche nuovi consiglieri e revisori dei conti, per il direttivo e il Collegio dei revisori sono in scadenza.

A febbraio le cariche andranno rinnovate. Bruno Spagnolli, il presidente il carica da tre mandati triennali, potrebbe continuare a guidare l'attività del gruppo. Ma si sta interrogando se continuare a farlo, per trainare la sezione oltre il periodo dell'emergenza sanitaria, o se fare un passo indietro e confidare nell'arrivo di forze nuove, che auspicherebbe si prendessero a cuore il futuro della Sat.

Presidente, si ricandida? «Non lo so, le rispondo sinceramente, non ho ancora deciso. Per diversi motivi, tra cui anche l'età che ho. La difficoltà però non è tanto nel continuare il lavoro, ma nel clima che si è creato, nelle incomprensioni. Se non rimaniamo una società di volontari in cui tutti possiamo portare il nostro contributo, se dobbiamo assimilarci ad un principio imprenditoriale dall'alto non ci capiamo».

Immagino non si riferisca soltanto alla sezione di Rovereto… «Infatti parlo più in generale della Sat centrale, del Cai. Prenda ad esempio le ultime disposizioni in materia di assicurazioni per chi scia in pista o per le ciaspolade: il presidente del Cai ha chiesto alla ministra di chiarire meglio la questione. Ma a parer mio la montagna non può essere chiarita al cento per cento, la montagna ha le sue leggi uniche e indiscutibili. Quando vogliamo andare a mettere i punti sulle "i" non ne usciamo più, ci arrovelliamo dentro disposizioni sempre meno comprensibili. Dobbiamo capire invece che l'esperienza ed il saper rinunciare sono fondamentali, anche quando inizio una gita e non ci sono le condizioni giuste».

L'esperienza vale più della legge? «Sicuramente. Un accompagnatore può aver fatto anche cento corsi, ma questo non vale quanto l'esperienza di chi è andato in montagna per cinquant'anni e che invece non viene considerato esperto. Io vorrei che tutti i partecipanti alle nostre gite frequentassero anche dei corsi per saper andare in montagna, ma per la loro esperienza nel saper valutare le capacità. E anche magari metterle a disposizione degli altri, non per imposizione dall'alto».

In questi mesi di pandemia il territorio è stato riscoperto da molti. Quando non potevamo uscire dai nostri comuni, la natura vicino a casa è diventata un'oasi. Questo cosa ha rappresentato per un gruppo come la Sat? «Noi siamo tra le poche sezioni ad aver lavorato anche in questi mesi. C'è chi ha chiuso e deve ancora riaprire. Quest'autunno abbiamo organizzato corsi di arrampicata per i ragazzi, per esempio. Giusto mettere delle regole, ma non vorrei si esagerasse con il rigore e le paure, perché mi dispiacerebbe se in questo modo la società perdesse la colla, il modo di stare insieme, a favore invece dell'individualismo. Questo è quello che mi fa più male: la perdita dello spirito societario».

I soci sono diminuiti? «Sì, l'anno scorso ne abbiamo perso una trentina. Quest'anno non so come andrà ma mi sembra non ci sia tutta questa voglia di tesserarsi. Siamo circa 1.100 ma sono pochi quelli che frequentano. Se spaventiamo anche questi con regole esagerate cosa rimane? Anche i più giovani magari si iscrivono ai corsi ma poi non vengono più. Noi però siamo in sede tutte le sere, li aspettiamo... Tutti devono poter portare il proprio contributo».

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