Montagna / L’allarme

L’addio di Carlo Baschera al rifugio Fraccaroli: «Non siamo un autogrill, ma la gente non lo capisce»

La struttura sul Carega è stata in mano alla sua famiglia negli ultimi 50 anni: «Una volta bastava un minestrone e un camerone, adesso la gente arriva a tutte le ore e vuole un ristorante in quota»

ALA. La notizia del cambio di gestione al rifugio Fraccaroli sul Carega (territorio di Ala, ma di proprietà del Cai di Verona) ha destato grande interesse, anche perché la famiglia Baschera gestiva la struttura da 50 anni. Ma i motivi dell’abbandono danno molti spunti di riflessione. Contenuti in una intervista a Carlo Baschera realizzata dal giornalista Vittorio Zambaldo sul quotidiano L’Arena.

«Noi fratelli Baschera, non lo riapriremo più... Dopo 53 anni è giunta l'ora di cedere il passo ad altri», aveva pubblicato Carlo sulla pagina Facebook del rifugio, accompagnato da poche righe: «Ci sentiamo in dovere di ringraziare tutte le persone che in questi anni sono passate a trovarci, condividendo con noi l'esperienza di questa montagna e di questo rifugio. Buona vita a tutti».

Ma come mai questo addio? «Era in ballo la scadenza del contratto con la sezione Cai Cesare Battisti, proprietaria dell’immobile: personalmente non me la sentivo più di impegnarmi per un’altra stagione e i miei fratelli hanno scelto di seguirmi in questa decisione», confessa all’Arena Carlo Baschera, 50 anni, da 27 gestore del rifugio con i fratelli Giorgio, inizialmente a cui si sostituirà poi Gianni, la sorella Francesca e Tommaso. Prima di loro erano stati gestori per 26 anni i genitori Franco e Nella, per cui si può dire che i quasi 70 anni che il rifugio compirà fra due anni, siano stati per 53 affidati alle mani della stessa famiglia.

Carlo è arrivato al Fraccaroli la prima volta quando aveva un anno e ci ha passato ha passato tutte le estati, ma punta il dato sula cambiamento in atto nedgli ultimi decenni: «Se una volta bastava un camerone condiviso e un piatto di minestrone con una bottiglia di birra, oggi la gente sale in montagna e si aspetta un ristorante, arriva a tutte le ore e pretende di trovare aperto. Una volta alle 22 calava il silenzio in rifugio, oggi ci sono le escursioni notturne per vedere il cielo stellato o la luna piena e poi le alzatacce alle 5 per vedere l’alba e i gestori dovrebbero essere sempre disponibili, di notte e di giorno, ma io non reggevo più questi ritmi, mi toglievano anche l’aria da respirare. Capisco di andare controcorrente, ma il rifugio non può trasformarsi in autogrill e tanti non lo capiscono» ha dichiarato all’Arena.

In più, i problemi strutturali del rifugio, situato a 2230 metri, 40 metri sotto la cima Carega. Ma dagli anni Ottanta non ci sono più stati interventi strutturali importanti, sebbene le esigenze siano cambiate. Sono arrivati a dire il vero un nuovo impianto idraulico, i pannelli solari, la nuova teleferica, ma la struttura è rimasta com’era.« Non abbiamo mai avuto un bagno riservato ai gestori e la mattina ci dovevamo mettere in coda con la ventina di ospiti per usufruire della toilette. Per una doccia con acqua calda abbiamo dovuto attrezzarci per conto nostro e sono cadute nel vuoto le richieste di poter chiudere la terrazza creando una veranda e ampliando i posti a sedere per i pasti. Il luogo è bello e lascia incantati, ma la struttura è ferma e meriterebbe più attenzione. Non ce ne siamo andati per questo», conclude Carlo Baschera, «ma certo non ci ha aiutato a trovare nuovi stimoli».

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