Banchi giù dalle finestre, messaggio diseducativo

Il Covid cambia la scuola, ma è tutto da buttare? Il dispiacere di un nostro lettore, condivisibile.

Banchi giù dalle finestre, messaggio diseducativo

Egregio direttore, mi farebbe piacere conoscere la sua opinione a riguardo di una questione collegata alla riapertura delle scuole. Sono rimasto molto negativamente impressionato da alcune sequenze filmate proposte dai Tg nazionali, dove si vedono operai scaraventare spavaldamente i banchi dalla finestra della scuola, accumulandoli alla rinfusa nel sottostante piazzale. Il giorno dopo si è vista la pinza di un’autogru schiacciare impietosamente i banchi per caricarli su un camion con evidente destinazione la discarica.
Reputo queste operazioni rozze e volgari bravate, fortemente diseducative in particolare proprio nei confronti dei ragazzi che andranno a frequentare la scuola, e pongo queste domande: Era proprio necessario distruggere in maniera tanto plateale dei banchi ancora perfetti, escludendo in tal modo un loro eventuale riutilizzo?
Si ritiene che l’attuale situazione di emergenza permanga all’infinito, senza alcuna ipotesi di un ritorno alla precedente modalità di permanenza in aula vicini al proprio compagno di banco, come tutti ben ricordano ai tempi della loro infanzia?
Se questa radicale soluzione è l’unica possibile, perchè con la stessa logica non sono stati divelti metà sedili di autobus, treni e aerei, stadi e tribune di impianti sportivi?
Non si poteva adottare il sistema in atto nelle chiese, dove ben più ampi banchi sono occupati in modo comunque rispettoso delle norme?
Ed infine, ma non per importanza, dove sta il criterio della differenziazione dei rifiuti, tanto raccomandato e puntualmente richiesto ai privati presso i centri di raccolta?

Edoardo Rosso - Borgo Valsugana

Ho provato anch’io dispiacere

Potrei direttamente sottoscrivere la sua lettera, perché non ho solo provato le sue stesse sensazioni. Ho sentito anche una specie di fitta al cuore pensando ai banchi che ho frequentato. Avevano ancora il posto per il calamaio, anche se nel frattempo usavamo tutti le stilografiche. E portavano, quei banchi, i segni di stagioni antiche. Quando morì Moravia, la grande Dacia Maraini parlò di una scrivania consumata dall’impazienza delle sue mani. Espressione bellissima. Quell’impazienza l’ho trovata in banchi e sedie che nessuno, giustamente, ha mai pensato di mandare al macero. Lei poi fa il paragone con le chiese ed è a dir poco pertinente.
Qualche tempo fa ho ospitato una lettera di Fabio Zamboni che conteneva una domanda illuminante: ma non si potevano conservare i banchi doppi facendoli semplicemente usare da un solo studente? Così si sarebbe anche risolto il tema del distanziamento. Certo, ci sono anche classi piccole dove questo non sarebbe stato possibile, ma che senso ha buttare via tutto, cancellare i segni di ricordi, di compiti, di amori, di frasi più o meno eleganti nei confronti di qualche docente? Parliamo di tracce di un tempo lontano e prezioso, segni che vanno conservati come un bene prezioso. La sua battuta su autobus e treni rende infine alla perfezione l’idea: conservare, fra l’altro, non significa solo dichiarare guerra agli inutili sprechi; significa anche dare l’idea che un giorno tutto tornerà davvero come prima. Buttare vita tutto, e farlo in quel modo plateale, lancia dunque un doppio messaggio sbagliato: si può buttare via tutto, perché nulla tornerà più come prima. Assurdo. E anche fuorviante.

lettere@ladige.it

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