Lettera aperta alla prof. Maria Prodi

La lettera al direttore

Lettera aperta alla prof. Maria Prodi

Cara professoressa Prodi, la sua narrazione dell’esame di maturità al tempo del Covid mi sembra viziata da pedagogismo sessantottardo. Che la scuola, come lei scrive, «non è un lavoro per ottenere voti e diplomi, ma un servizio per la crescita di una persona» è una sciocchezza. Il motivo è semplice. Il voto precede la crescita per il semplice motivo che senza di esso, senza cioè la certezza che il proprio apprendimento verrà sottoposto a giudizio determinante per il proprio futuro scolastico e professionale, non ci può essere crescita né umana né culturale. Detto papale papale: senza la paura della bocciatura nessun ragazzo studia. Nella speranza s’intende che anche lei, al pari mio, consideri lo “studio” quel procedimento mentale assai faticoso, spesso noioso, che permette all’individuo non solo di comprendere, assimilare la conoscenza, ma anche di ritenerla.
Leggo che considera i sistemi di “interrogazione tradizionale”, dei veri e propri “interrogatori”, inutili torture e preferisce di gran lunga un esame di maturità come quello di quest’anno che - espressione sua - «lascia la parola ai ragazzi», ma - aggiungo io - toglie il diritto di interrogare agli insegnanti: lei stessa sa benissimo che con un esame siffatto è impossibile valutare l’effettivo grado di preparazione dei candidati (prova ne sia che verranno tutti promossi d’ufficio) e che dunque viene meno l’altra grande funzione che attiene alla scuola oltre quella di trasmettere conoscenza, e cioè quella di selezionare i talenti e di indirizzare verso percorsi scolastici adeguati alle capacità di ciascuno. Suvvia professoressa, torni in lei, si tolga dalla mente le idiozie pedagogiche del Sessantotto (non le bastano i disastri educativi che hanno prodotto?) e operi in modo che il prossimo esame di maturità sia degno del nome che porta.

Mario Refatti

Ma il suo tono non è pacato

Fatico a capire il suo tono, a dir poco opposto rispetto alla mitezza e alla delicatezza della professoressa Prodi. L’editoriale della docente, intendiamoci, può non esserle piaciuto. E questo ci sta, perché un articolo di quel tipo è uno stimolo a pensare, non certo un invito a cambiare idea per pensarla come chi scrive quell’articolo. Ma accusare la professoressa Prodi di essere una sessantottina - ammesso che sia una colpa, considerato che quella rivoluzione ha anche più di un merito - è un errore e una semplificazione (com’è una semplificazione dire che si studia solo per evitare una bocciatura). Il ragionamento di Maria Prodi - che opera da sempre per migliorare la scuola, mi creda - andava ben oltre e invitava a vivere in modo diverso, ma ugualmente intenso e speciale, una maturità che è diversa ma che resta comunque un fondamentale rito di passaggio. Ma a questo punto chiedo alla prof di risponderle direttamente.

lettere@ladige.it

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