Stava, memoria di una tragedia criminale

La lettera al direttore

Stava, memoria di una tragedia criminale

Gentile direttore, riporto in breve le emozioni provate assistendo alla rappresentazione della tragedia di Stava, al teatro Sociale:
L’ombra rotolante della colata di fango che spazza via tutto, in una scena velata dal tempo trascorso e immersa nel tuono della catastrofe e dominata dal coro che ne confessa l’inammissibilità, e le urla strazianti delle anime perdute …, questo mi ha commosso e sento gratitudine.

Ciò che mi ha fatto arrabbiare è l’accenno alle colpe e all’insufficienza delle pene pro tempore vigenti, che sono state poi inasprite per evitare future tragedie. Un accenno per seppellire il passato, visto che non si è detto di quei fatti e di quelle volontà criminali, che hanno portato alla tragedia.

Una rappresentazione perfetta in sé, che è stata rovinata toccando il tema delle colpe in un modo da lenire il dolore e velare le responsabilità delle Istituzioni e degli imprenditori.
Da cittadino trentino, dico che ci siamo comportati male e mi sento triste nel pensare alla schiavitù dell’arte.

Mario Marchesini


 

Un valore speciale: quello dell’indignazione

Non ho (ancora) visto quella rappresentazione. Ma ho negli occhi quel giorno, quei mesi, quella tragedia che ancora è dentro di noi. Per me, giovane cronista, fu un fronte inimmaginabile. In quel giorno di sangue e di dolore, di terra e di sole, ho preso appunti con i piedi nel fango. Ho parlato con i sopravvissuti. Ho guardato con i loro occhi i figli, le mogli e i parenti che non c’erano più. Che erano in un altrove di morte e di terra grigia.
In uno scenario insieme lunare e spettrale, ho scritto sullo spartito delle emozioni, cercando di raccontare non ciò che provavo, ma ciò che vedevo. E anche ciò che non vedevo, ciò che non c’era più. Le volontà criminali allora si chiamavano superficialità criminali. C’erano enormi responsabilità, ma tutto era inadeguato: le leggi e i controlli.

La verità è che nessuno o quasi sapeva di quel bacino, di quella bomba lasciata sulle teste di ognuno di noi. Si parlava di quei troppi camion. Qualcuno denunciava. Ma quello era un mondo molto diverso da quello di oggi. Solo la nostra protezione civile e tutti i volontari che con un entusiasmo doloroso e anche a tratti inevitabilmente maldestro, ma sempre ricco di solidarietà e abbracci, seguirono ogni istante di quel drammatico durante e di quel terribile dopo, in un certo senso, furono all’altezza della situazione.

Quel giorno la nostra terra cambiò per sempre. L’ambiente, la sicurezza del territorio, la tutela della natura si spostarono al centro dei pensieri, dell’azione politica (grazie anche a donne e uomini illuminati), della missione legislativa. Ci siamo comportati male. Ma quella tragedia ci ha cambiato. Ci ha reso diversi. Non ci ha insomma solo aperto gli occhi, ma ci ha costretto a tenerli aperti ogni giorno e ogni notte.
Le urla viste da lei a teatro per me sono invece il silenzio visto e vissuto a Stava. Il rumore impercettibile della morte. E quel “mai più” - gridato da più persone - che non si riempì solo di inevitabile di retorica, ma di fatti. Anche nei processi, anche nei tanti atti impercettibili che forse non si possono portare a teatro, ma che hanno cambiato per sempre la nostra storia. Il teatro forse non ha bisogno di dire tutto. Ha bisogno di risvegliarci.
E questa sua lettera dimostra che è accaduto, dando al ricordo un valore speciale: quello dell’indignazione.

a.faustini@ladige.it

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