Frizzi (presidente dell'Ana trentina) e "La Caserma": "Un prodotto spazzatura, ma la naja serviva a fare comunità"

Il docu-reality di Rai2 “La Caserma”, bocciato dal presidente del Forum trentino per la pace Massimiliano Pilati, non piace neppure a Paolo Frizzi, avvocato, presidente della sezione Ana di Trento. «È una scimmiottatura di quella che poteva essere in parte la vita militare» spiega. Pur non rispecchiandosi nel parere di Pilati per quanto riguarda l’assioma “caserma uguale cultura militaristica”, il presidente dell’Associazione alpini concorda su alcuni punti della riflessione del presidente del Forum per la pace (l’Adige di ieri).

Ma precisa: «È riduttivo sostenere che la caserma è il luogo in cui le persone vanno per imparare a fare la guerra. Il servizio militare è stato un modello di esperienza, e come tutti i modelli di esperienza porta in sé elementi positivi e negativi. Ma alla fine, quando tiri la riga, ti rendi conto che è stata un’esperienza che ha insegnato tantissimo. Ha insegnato il fare comunità».

Torniamo alla trasmissione, girata nel novembre scorso a Santa Giuliana di Levico, in una residenza religiosa adattata ad ambiente militare. «È tutt’altro che un reality: è un prodotto spazzatura. Non rivedo in quei ragazzi né mio figlio diciottenne, né i suoi amici. È evidente che i protagonisti sono stati scelti per fare spettacolo, perché di spettacolo si tratta. È una sceneggiatura, che sta andando a toccare valori che sono tutt’altro che oggetto di scena, compresa l’uniforme. E sono sorpreso nel vedere la partecipazione di militari in congedo - spiega Frizzi - Inoltre è stato un orribile scivolone della Rai aver presentato il reality il 27 gennaio, il Giorno della memoria: su questo concordo con Pilati ma per motivi diversi. Dal mio punto di vista nella Giornata della memoria dovremmo essere tutti chiamati a un po’ di concentrazione e di serietà. Presentare un programma del genere è una mancanza di stile».

Reality a parte, per Frizzi la caserma non è solo un luogo fisico, non è “signorsì” e basta. «Non è simbolo della cultura militarista come sostiene Pilati, non è solo “cieca obbedienza”. Pensiamo a quei bravissimi alpini che qualche giorno fa sono stati impegnati a disinnescare la bomba a Bolzano: quei giovani il mestiere lo hanno imparato in caserma durante il servizio addestrativo - prosegue Frizzi - E cito anche gli alpini visti in televisione mentre spalavano con i mezzi la neve per soccorrere la popolazione. È riduttivo sostenere che in caserma si impara a fare la guerra.

Per quando riguarda l’obbedienza, se si toglie l’aggettivo “cieca” non va vista in senso negativo. Ai giovani d’oggi risulta un po’ difficile obbedire, non solo ad un ordine militare, ma anche nella vita civile: l’obbedienza riferita a chi è più alto in grado dal punto di vista militare vale anche nel mondo civile, riferito al grado gerarchico nel mondo del lavoro». Ricordando il volontariato, in particolare gli alpini che in questo periodo di pandemia si sono messi a disposizione delle comunità, Paolo Frizzi ricorda il progetto che Ana porta avanti da anni, ossia il servizio obbligatorio inquadrato nell’esercito per formare volontari della Protezione civile. Un modo anche per favorire il ricambio generazionale. «Il servizio militare è stata un’esperienza di comunità, che mio figlio non ha mai fatto - conclude Frizzi - Questa esperienza, nel momento in cui rientri nel mondo civile, ti porta a ricercare il modello di comunità più vicino alla caserma, che è quello dell’associazionismo, delle associazioni d’arma».

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