Paolo Rossi a Bolzano dal 4 al 20 giugno per venti spettatori a sera

di Fabio De Santi

Venti spettatori a sera per assistere, gratuitamente, dal 4 al 20 giugno tutti i giorni alle 18.30 tranne la domenica, alle prove aperte del nuovo spettacolo di Paolo Rossi Pane o libertà. Su la testa . Questa la formula per la ripresa scelta dal Teatro Stabile di Bolzano che sarà la prima struttura teatrale in Italia ad aprire i suoi spazi al pubblico. Da alcuni giorni l'attore milanese è arrivato a Bolzano per provare insieme alla sua band, gli Anciens Prodiges , lo spettacolo prodotto dallo Stabile di Bolzano, che da luglio presenterà in un tour estivo all' aperto. Per questa ripartenza lo Stabile bolzanino utilizzerà il format di «Wordbox- Parole per il Teatro»: un incubatore di progetti teatrali che offre la possibilità a un ristretto numero di spettatori di assistere alle prove aperte di uno spettacolo in divenire. Con Paolo Rossi abbiamo parlato di questa sua opera nata dall'unione fra stand up e commedia greca ma anche di come si trova nel mondo segnato dal Covid - 19.

Paolo Rossi, come ha vissuto il periodo del lockdown?

«Ho fatto tante cose, mi sono allenato a fare teatro e mi sono conentrato sul mio nuovo spettacolo pensando a come sarebbe stato tornare a recitare e appena possibile l'ho fatto. Già una decina di giorni fa infatti ho incominciato a recitare nei cortili delle case popolari, in quelli che possiamo definire come "teatri di ringhiera". A Milano sono nate delle vere e proprie brigate supportate da Emergency che portano il cibo alle persone, sempre più numerose, che ne hanno bisogno. Insieme ad alcuni amici così abbiamo creato la Brigata teatrale Brighella».

Una Brigata da teatro di strada...

«Ho fatto il regista in scena per una decina di giorni e con altri attori abbiamo raccontato le nostre storie alla gente che stava sui balconi e alle finestre. I cortili dei palazzi sono diventati come una sorta di teatro elisabettiano e ci siamo rivolti ad un pubblico estremamente vario dai bambini di 7 anni agli anziani di 90. Un pubblico spesso vergine, ingenuo, che si distrae facilmente e che devi sempre tenere "caldo"».

Non si è fatto spaventare da questa situazione inedita?

«Assolutamente no, questa è la mia partita. È tutta la vita che lavoro sul teatro d'emergenza, sulla commedia dell'arte, sul teatro popolare, sul teatro all'improvviso. Ogni limite, ogni ostacolo, che mi viene posto è per me uno stimolo che mi spinge ad una svolta estetica, ad un cambiamento di codice teatrale. È chiaro che niente sarà come prima anche nel teatro e chi si illude di tornare al passato è destinato a schiantarsi contro la realtà».

Ed ora si trova sul palcoscenico del primo teatro italiano che aprirà i battenti.

«Sono arrivato a Bolzano ad inizio settimana ma con l'amico Walter Zambaldi, direttore dello Stabile di Bolzano, abbiamo già provato on line lo spettacolo durante la quarantena. Naturalmente sono contento di riassaporare la dimensione del palco con prove che durano dalle 8 fino alle 21».

Le sue saranno prove aperte ad un pubblico di soli venti spettatori a sera: una cosa quasi da salotto.

«Nella mia vita d'attore ho provato davvero di tutto. Mi è capitato di recitare in un teatro off davanti a due spettatori che poi, al primo buio, se ne sono andati. In quell'occasione avevamo improvvisato un improbabilissimo dibattito con la mia compagnia per capire se dovevamo o no andare avanti. Ho recitato nei teatrini di periferia così come davanti a 220 mila persone in Piazza San Giovanni a Roma in una dimensione da concerto rock. Ogni singolo spettatore merita rispetto e non vedo l'ora d'incontrare ogni sera le venti persone che verranno ad incontrarci».

L'immagine che le rimarrà nel cuore di questo periodo d'emergenza?

«Una delle prime volte che sono uscito di casa e ho visto un camion che distribuiva viveri in Piazzale Lodi. I volti di quelle persone in fila li ricorderò per sempre».

Cosa ci può anticipare di "Pane o libertà. Su la testa"?

«Posso dire che si tratta di un monologo in cui si mescola la figura del primo Arlecchino, quello che possedeva il biglietto di andata e ritorno per l'aldilà, a quella che fu poi una delle sue evoluzioni come intrattenitore popolare capace di spaziare dalle stalle al cabaret».

Non è che ci toccherà rinunciare, vista l'aria che tira, sia al pane sia alla libertà?

«Mi pare che si vada incontro ad una forte crisi economica, ad una nuova realtà in cui ci si dovrà per forza chiedere se si vuole mangiare, se si vuole il pane, o si preferisca essere liberi. In questo spettacolo provo a disegnare anche una possibile terza via. Vengo da una Milano, fronte dell'emergenza, in cui si respira parecchia tensione, dove c'è sempre più gente che fa fatica e credo che il peggio debba ancora venire».

Come immagina la ripartenza del teatro?

«Ci sono commedianti che pensano e poi fanno, agiscono, altri che si perdono in enormi dibattiti e discussioni su come si scrivono, le pur spesso rispettabili e utili, petizioni per istituzioni, ministeri, burocrati. Credo che questo sia il momento di ritrovare un rapporto vero dell'artista con il pubblico, del commediante con la gente. Molti colleghi si chiedono come faranno a recitare se le persone staranno sedute una ogni tre posti senza magari interrogarsi su come sarà, e quali aspettative avrà il nuovo pubblico dei teatri».

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