Se ti ammali c’è il kit del Trapasso «Humana», spettacolo sulla società senza cure

di Manuela Pellanda

Se essere malati non è ammissibile, se curarsi è illegale, cosa faresti se uno dei tuoi familiari avesse una malattia curabile? È questo uno degli interrogativi posti al centro della nuova produzione di Teatro Elementare - Humana (nella foto MoniQue) - che debutterà martedì al Teatro Zandonai di Rovereto e in replica il 6 marzo al Teatro Portland, a Trento.

Uno spettacolo che proietta lo spettatore in un mondo distopico, i cui germi sembrano essere disseminati nella nostra società. Tanto più ai tempi del Coronavirus. Ne abbiamo parlato con Carolina De La Calle Casanova, ideatrice, autrice e regista di questo lavoro intenso (e attuale oltre ogni aspettativa), interpretato da Marco Ottolini e Federico Vivaldi.

Carolina De La Calle Casanova, di che cosa ci parla Humana?

«Humana è il nome del governo che guida una società ambientata in un futuro non così lontano da noi. Un mondo in cui gli ospedali pubblici e le cliniche private hanno chiuso, le spese per la sanità sono state azzerate in favore di investimenti in altri settori. Il tutto per arrivare ad una purificazione della razza umana attraverso l’eliminazione alla radice della malattia e del conseguente diritto alla cura. Per questo, chiunque si ammali viene invitato ad usare il Kit del Trapasso o ad andare nella Stanza del Dono per compiere il viaggio definitivo in cambio di un aiuto economico alla famiglia».

Come è nata questa idea e quali sono stati i tuoi riferimenti teatrali o letterari?

«Sono partita da un caso personale, ossia dalla malattia di mia madre, su cui la sanità spagnola ha investito 170 mila euro. Questo il costo di una cura sperimentale testata su di lei e altri pazienti. Non sarebbe andata nello stesso modo in altri Paesi. Da qui è partita una più ampia riflessione, accompagnata, più che dalla ricerca di riferimenti teatrali – nel teatro non è documentato il genere distopico (almeno quello che intendevo io) – dalla rilettura delle pagine di alcuni importanti autori, da George Orwell a Philip Dick, fino al meno conosciuto Yuval Noah Harari».

In scena Marco Ottolini e Federico Vivaldi. Che personaggi interpretano?

«Sono due fratelli, militanti di “Humana”. Il padre è “selettore di malattie”, la madre poliziotta di Stato. A un certo punto, uno dei due si ammala di cancro alle ossa. Il padre cerca di salvarlo, ma la madre, fedele al governo, consegna il marito alle autorità. Una scelta in linea con il “sistema Humana” (votato democraticamente dai cittadini!) che invita, per esempio, a denunciare il vicino di casa per un colpo di tosse».

E che cosa ritroviamo di questo “sistema Humana” nella nostra quotidianità, scossa dal timore del Coronavirus?

«Quello che ritrovo è la mancanza di empatia, lo scarso senso di comunità evidente anche in questi giorni, quando osservo le reazioni della gente, al bar, davanti ad uno starnuto. O quando un passante cambia marciapiede alla vista di un cinese. Naturalmente lo spettacolo è nato ben prima dell’emergenza Coronavirus ed è stato per noi impressionante trovare, nelle ordinanze, alcuni echi del testo».

In questa società descritta a tinte fosche, filtra una qualche luce?

«Certo che sì. Sarà banale dirlo, ma come suggerisce lo spettacolo questa è rappresentata dall’amore, l’unico sentimento che scatena il cambiamento grazie al caos capace di generare».

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