Pergine, Scarpinato svela «Se non sporca il mio pavimento. Un melò»

di Manuela Pellanda

Fragilità, amore, ingenuità, fiducia, ferocia. C’è tutto questo in "Se non sporca il mio pavimento. Un melò", di Giuliano Scarpinato, spettacolo inserito nel calendario di Pergine Festival, in programma domani (lunedì) al teatro comunale di Pergine (ore 21). Ce ne parla il regista e drammaturgo.
Giuliano Scarpinato, le relazioni con l’altro sono il filo rosso di questa edizione di Pergine Festival. Qual è dunque la natura dei legami che si snodano all’interno dello spettacolo?
«La loro natura è quella del bisogno. Nello spettacolo vengono messe in luce le dipendenze affettive tra i protagonisti di questa vicenda, persone estremamente labili».  
«Se non sporca il pavimento» è ispirato a un fatto di cronaca nera, avvenuto nel 2014: l’uccisione, da parte di Gabriele Defilippi della sua ex professoressa Gloria Rosboch, con la complicità dell’amante Roberto Obert. Quali aspetti di questa vicenda hanno catturato il suo interesse e in quale modo sono stati rielaborati per la scena?
«Mi ha colpito la natura fortemente archetipica di questi personaggi. Mi ha fatto pensare a un mito che da sempre mi affascina, quello di Eco e Narciso, narrato nelle Metamorfosi di Ovidio. Sulla scena, questa tragedia di provincia riprende vita, con alcune differenze, l’intreccio con il mito e con l’apporto di proiezioni video».
Tra i personaggi spicca quello che nella cronaca risponde al nome di Gabriele Defilippi, un adolescente dai tredici profili Facebook. Quale ruolo svolge, in questa vicenda, la «realtà virtuale»?
«Il rapporto con i social è a mio avviso un aspetto fondamentale. Essi, con la loro possibilità di liquefare l’identità degli utenti, contribuiscono alla disintegrazione della fisicità dei rapporti, creando, in persone con inclinazioni già patologiche, un cocktail fatale».
Un personaggio dai mille volti, Defilippi, che, come raccontano i suoi amici «amava travestirsi». Nel 2014 lei ha vinto il Premio Scenario Infanzia con il discusso spettacolo «Fa’afafine. Mi chiamo Alex e sono un dinosauro», incentrato sulle vicende di un «gender creative child». Qual è il filo conduttore di questo suo percorso? Cosa vuole raccontare?
«Sono due spettacoli lontanissimi, ma accomunati da una ricerca sull’identità. “Fa’afafine” ha un esito positivo, mentre “Se non sporca il pavimento” si occupa dello sperdimento identitario in età adulta, di quello che può succedere se non vengono sciolti i nodi fondamentali del processo identitario».
Cosa le hanno lasciato le polemiche e le censure di «Fa’afafine»?
«Dapprima ho avuto qualche timore, poi ho imparato a conoscere chi voleva boicottarmi: è stato molto istruttivo, perché ho visto un’Italia che non conoscevo, un’Italia che sta sempre più emergendo con il nuovo governo, di cui condivide le scelte abominevoli in materia di identità di genere e immigrazione. Un’Italia retriva e fin troppo fascista, pronta a veder tornare qualcosa che non mi augurerei mai».

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