Gli 80 anni di Guccini «mai stato comunista, al massimo votavo Psi»

In barba ad ogni scaramanzia, Francesco Guccini ha festeggiato ieri, dunque con una settimana di anticipo, il suo ottantesimo compleanno che cade il 14 giugno. Con un evento social online al quale tra gli altri hanno partecipato Luciano Ligabue e il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini. Un bel regalo gli è già arrivato dalla giuria del Premio Campiello che lo ha inserito nella cinquina dei finalisti con "Tralummescuro - Ballata per un paese al tramonto". E, si badi bene, in questo caso la parola regalo va usata solo per la coincidenza temporale tra l'annuncio del Campiello e il compleanno perché Guccini è uno scrittore, oltre che uno dei più importanti cantautori e autori della musica italiana: non si tratta dunque del riconoscimento del valore letterario dei suoi testi ma proprio di dare valore al lavoro di un autore che scrive libri da decenni. 

E scrivere oggi è la sua principale attività, visto che da qualche tempo si è ritirato dalla scena musicale. Anche se si tratta di un personaggio allergico alle celebrazioni e alla retorica, è giusto feteggiare un personaggio che oggi è un punto di riferimento, in un momento in cui si avverte drammaticamente la mancanza di figure simbolo.

E' giusto perché il Maestrone, come viene chiamato da chi gli è più vicino, fa parte di quella generazione che con la canzone d'autore ha dato uno dei contributi più significativi e originali alla cultura italiana del secolo scorso.

Modenese, Guccini per certi aspetti incarna il meglio della tradizione della Osterie di Bologna, un luogo dell'anima con le sue specificità, dove nelle notti infinite la musica faceva da colonna sonora a un universo composito e per sua natura mitopoietico.

Ha fatto l'insegnante per una vita ma anche il giovane cronista alla Gazzetta di Modena e il pubblicitario, nel mondo della musica ci è entrato con atteggiamento riluttante prima come autore, per Caterina Caselli e soprattutto per i gruppi Beat, Equipe 84 e Nomadi, che hanno portato al successo "Auschwitz", "Per fare un uomo", "Dio è morto", "Noi non ci saremo".

Contando su un bagaglio culturale ricchissimo, Guccini ha trovato col tempo una sua poetica precisa, fino ad arrivare, a partire dagli anni '70 a diventare uno dei personaggi più amati ed ascoltati della stagione dell'impegno, complici anche i suoi concerti, autentici happening in cui la musica e le canzoni si mescolavano con monologhi e accenti del miglior cabaret.

Sono tante le sue canzoni che sono diventate degli inni collettivi: "La locomotiva", "Piccola città", "Il vecchio e il bambino", "Vedi cara", "Incontro", "Autogrill", "Canzone per un amica", "Cirano", "L'avvelenata" per fare qualche esempio.  

Ma nell'intervista rilasciata domenica al quotidfiano La Repubblica, Guccini si è scrollato di dosso l'etichetta di comunista: «Non lo sono mai stato, figuriamoci. Uno come me, libertario e artista, non poteva amare lo stalinismo. Confesso che ho sempre votato Psi, ma ora non mi interessa più la politica».

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