Richard Dawson: canzoni per i tempi della Brexit

di Fabio De Santi

Richard Dawson (nella foto), il bardo del black humor di Newcastle, sta presentando anche in Italia il suo sesto album solista «2020». Il tour venerdì sera lo porterà al Teatro Sanbàpolis per uno dei concerti più attesi della rassegna «Transiti». Un disco, «2020», definito come uno studio contemporaneo sullo stato di una nazione, che rivela i tempi tumultuosi e cupi in cui è immersa: una nazione-isola che sta vivendo un periodo di transizione con una società sull’orlo di una crisi di nervi.

Richard Dawson, iniziamo dal suo ultimo album «2020».

«Credo sia un disco insieme duro e sincero in cui racconto argomenti importanti attraverso piccole vite. Le canzoni sono ritratti di esseri umani alle prese con preoccupazioni comuni, conflitti e desideri. Ogni storia ci ricorda che la tragedia e l’umorismo non si escludono a vicenda e che il magico può sedere accanto al banale. All’interno troviamo funzionari pubblici scontenti che sognano giorni migliori, calciatori dilettanti che pensano di essere Lionel Messi e proprietari di pub assediati che combattono le acque alluvionali in aumento. Ecco la vita, in tutti i suoi modi strani e meravigliosi».

Un lavoro anticipato dal singolo «Jogging».

«Si tratta di un brano pop che parla dei benefici del jogging nell’affrontare l’ansia, raccontata attraverso i dolori del ceto medio inglese accompagnato da un video diretto da Edwin Burdis».

Cosa proporrà nel live in Italia?

«Non vedo l’ora di tornare a suonare Italia, il mio primo viaggio da voi un paio di anni fa è stato magico e ho trovato un pubblico molto attento.
Anche in questo caso faremo del nostro meglio per condividere la mia musica e suonarla bene per coinvolgere chi verrà a sentirci».

Dal punto di vista dei suoni come si inserisce «2020» fra le sue produzioni? Quali i punti in comune con i vecchi dischi e quelli che si differenziano?

«Il mio nuovo album da una parte è esattamente lo stesso per quanto riguarda i suoni di quello precedente ma anche completamente diverso. È lo stesso disco sotto tanti aspetti ma allo stesso tempo non lo è perché ci sono tante sfumature diverse canzone per canzone. Il mio obiettivo è sempre quello di essere il più diretto possibile».

Lei ha lavorato in un negozio di dischi di Newcastle: le piace il vinile o crede sia uno strumento di ascolto legato al passato?

«Amo la musica: personalmente mi piace avere qualche disco a casa, ma mi diverte anche ascoltarla on line. Ho anche dei ?vecchi? nastri che sento in macchina. Va tutto bene, mi piacciono le diverse qualità che ogni formato porta alla musica: alcuni artisti come ad esempio Neil Young si adattano davvero al fatto di essere ascoltati su vinile ma nello stesso tempo adoro la precisione dei cd e dei file wave adatti per altri tipi di suono. Cerco di evitare la nostalgia senza preoccuparmi troppo del passato ma senza rinunciare a quello che è stato».

Quali sono i musicisti che l’hanno maggiormente influenzata?

«Su tutti Nev Clay, un grande musicista di Newcastle, non molto conosciuto al di fuori del nord-est dell’Inghilterra, ma per me è uno dei migliori cantautori del mondo. Consiglio quindi ai lettori del vostro giornale di andare a scoprire la sua musica».

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