Il videoclip? E' opera d'arte (anche fiscalmente): la rivoluzione del ministro

Non solo i film, anche un videoclip può essere arte. Dopo anni di battaglie e una petizione caduta nel vuoto, è un decreto firmato oggi dal ministro della cultura Franceschini a riconoscere la dignità, ma anche l’accesso ai contributi statali ai video musicali che la legge italiana equiparava alle pubblicità e ai video porno. «I video musicali hanno interpretato e interpretano al meglio l’immaginario popolare, facendo sognare intere generazioni e sono delle opere d’arte - sottolinea il ministro Pd - Per questo motivo non c’era motivo di escluderli dalle agevolazioni fiscali. Ieri mattina, quindi, ho corretto un errore».

Il primo ad applaudire è Fiorello, che sulla petizione al ministro (era Franceschini anche allora) aveva messo la faccia già nel 2017, quando proprio nei decreti che dovevano dare attuazione alla legge sul cinema e l’audiovisivo ne venne decisa, a sorpresa, l’esclusione dal tax credit.

Con tutta probabilità, viene fatto notare ora negli ambienti musicali, si trattò di un abbaglio preso dai tecnici che si mossero ignorando i cambiamenti epocali arrivati con internet, dove i videoclip costituiscono la fetta in assoluto più grande - il 95 per cento secondo il regista Stefano Salvati - dei video cliccati. Un errore, sottolineano anche dalla Fimi, la federazione dell’industria musicale, ribadendo che oggi il «il videoclip è senza ombra di dubbio una delle più innovative e diffuse forme di comunicazione al mondo».

Tant’è che tra gli autori di videoclip si trovano tante stelle della regia, da Martin Scorsese, chiamato da Michael Jackson per Bad, a Roman Polanski, che insieme a Salvati, autorità italiana del settore, firmò Angeli di Vasco Rossi. E ancora: Tim Burton ha diretto i “The Killers in Bones”, singolo estratto dal loro secondo album Sam’s Town; David Lynch ha firmato un video per Wicked Game di Chris Isaak. E Sofia Coppola, che dopo il successo di “Lost in translation” si è provata nell’opera lirica, non si è negata incursioni nel settore musicale, dirigendo per esempio i “The White Stripes” in “I just don’t know what to do with myself”.

Nato negli anni ‘50, il videoclip sembra essere tra l’altro «un’invenzione» tutta italiana. Un ruolo chiave - scrive Michele Bovi nel suo libro«Da Carosone a Cosa Nostra, gli antenati del videoclip» (2007) sarebbe stato svolto dal Cinebox, in pratica un juke-box con lo schermo che riproduceva le pellicole dei video musicali realizzati dai cantanti dell’epoca. Costruito dai fratelli Angelo e Giovanni Bottani nel 1959, era stato pensato per la diffusione dei filmati musicali a colori nelle sale interne dei bar.

Il primo videoclip sarebbe quindi il filmato musicale de «La Gatta» di Gino Paoli, girato proprio per il prototipo del Cinebox. Certo da allora si è fatta tantissima strada, a partire soprattutto dagli anni Ottanta con le prime televisioni tematiche con un palinsesto tutto musicale. «Oggi - racconta Salvati, regista di Sting come di Vasco, Venditti, Elisa e tantissimi altri - il videoclip è la palestra perfetta per far crescere qualsiasi filmmaker: c’è il racconto, c’è la tecnica, c’è tutto nel tempo di una canzone». E i contenuti sono «i più visti del web».

Franceschini è d’accordo. Tanto da ammetterlo a viso aperto, in un videoclip per l’appunto, che lo vede intervenire in coda agli appelli lanciati dai vip della canzone. Disinvolto in maglione blu, il ministro sorride alle telecamere dal suo studio al Collegio Romano: «Mi avete convinto, rimedio».

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