A Trento la band "La rappresentante di lista" «C'è il teatro nella nostra musica»

di Fabio De Santi

La rappresentante di lista è innanzitutto un progetto di ricerca, nato con un punto di vista plurale femminile: una femmina che accoglie, che si prende cura, che ama.
Si presenta in questi termini una delle band più amate dai giovani italiani in questo 2019 grazie anche al successo dell'album «Go Go Diva» al centro del live di venerdì 20 settembre per il Poplar Festival alle Albere di Trento . «La rappresentante di lista» arriva da Palermo, è in circolazione dal 2011, e ha il suo cuore creativo in Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina ( insieme nella foto ) che abbiamo sentito in questa intervista.

Dario, vi aspettavate tutto questo clamore attorno al vostro terzo disco?

«Francamente no, anche se sapevamo di aver fatto un buon lavoro in studio e di aver scritto delle canzoni che ci piacevano tanto e ci sembravano particolarmente ispirate. Sappiamo però che oggi spesso tutto questo non basta per decretare il successo di un progetto musicale. Siamo felici del riscontro che abbiamo ricevuto sia dalla critica che dal pubblico accorso al nostro tour. Merito, oltre che nostro, anche di tutto il team attorno a noi, dalla label al booking e al nostro ufficio stampa».

C'è un filo conduttore nei brani di «Go Go Diva»?

«Direi che esiste un qualcosa capace di unire le diverse canzoni ma non l'abbiamo pensato o cercato durante la scrittura dei brani. In qualche modo lo abbiamo scoperto anche noi alla fine della registrazione e si lega anche al titolo "Go Go Diva", una sorta di invito a perdersi, a battersi, a spogliarsi e a cantare con tutta la voce che si ha in corpo. Nell'inferno dei desideri, nel buio della paura, nell'oscurità di questa notte noi ci sentiamo maledettamente vivi».

Definite la vostra musica con il termine «queer», nessun altro aggettivo?

«Giorgio Canali, chitarrista dei Cccp e dei Csi, ci ha definiti con il termine "obliqui", una parola che io amo particolarmente. Il termine "queer" l'abbiamo rubato a tutti i discorsi sulla definizione del genere sessuale. "Queer" anche per noi identifica la voglia di allontanarci da ogni etichetta o genere musicale visto che abbiamo sempre avuto difficoltà ad inquadrarci dentro ad un genere specifico, ad avere delle barriere».

Nei vostri live c'è anche una dimensione quasi teatrale: da dove questa esigenza?

«Io e Veronica ci siamo conosciuti durante le prove di uno spettacolo teatrale perché entrambi, prima di intraprendere il percorso di musicisti, abbiamo lavorato per diversi anni come attori in teatro. Io credo che questa dimensione sia un modo per comunicare su un altro piano, di aggiungere un significato in più alla nostra musica. La teatralità ci permette di creare dei quadri sonori, per noi è quasi una seconda lingua».

Quali sono i vostri punti di riferimento musicali?

«Fra i componenti della band si ascolta di tutto, dal rock all'hip hop fino alla musica classica. Io amo particolarmente la lirica, mi appassiona sempre, anche se ascolto tanto rock ed elettronica... sono onnivoro».

Si sopravvive senza i social nel rock italiano di oggi?

«Difficile per una band prescindere oggi dai social. A me tutto sommato divertono anche per il rapporto che sanno creare con chi ti ascolta, l'importante è non esagerare, non permettere che siano troppo pervasivi o finiscano per condizionare il tuo fare arte».

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