Da 48 anni nelle nostre chiese il Festival di Musica Sacra chiede fondi e certezze

di Daniele Valersi

Si è concluso il mese scorso il 48° Festival di Musica Sacra, che ha toccato numerose località del Trentino e dell’Alto Adige in ben 44 appuntamenti. Con Paolo Delama, organista, referente del Servizio Liturgia alla diocesi di Trento, nominato per la seconda volta alla presidenza dell’Associazione Festival Musica Sacra, abbiamo approfondito alcuni aspetti attuali e ragionanto sul futuro della manifestazione.

Un bilancio di questa edizione, a cominciare dal feedback del pubblico e dei musicisti?

Del pubblico c’è da essere contenti, c’è stato un grande afflusso. Si sono contate dalle 80 persone nelle chiese a capienza più limitata fino alle 300-350, con la chiesa di S. Maria a Trento riempita. Negli anni il Festival ha acquistato sempre maggiore autorevolezza e i musicisti vi partecipano volentieri, tanto i giovani che stanno studiando quanto i rinomati professionisti in carriera. Ne è riprova il fatto che di tutti i programmi proposti noi abbiamo elaborato solo cinque-sei progetti, gli altri sono il risultato della partecipazione spontanea e gratuita di musicisti professionisti, che aspirano a essere ospitati da noi. Il Festival è considerato un bell’ambito in cui lavorare, è diventato sempre più attrattivo. Un aspetto da non trascurare è l’ampiezza della rete sul territorio, la nostra capacità di intercettare quelle realtà locali che da sole non riuscirebbero a organizzare gli eventi; valorizziamo così anche i posti più piccoli e remoti, ancorché suggestivi, scoprendo sempre nuove chiese che sono dei tesori d’arte.

La musica sacra è attuale? È un fenomeno culturale legato soprattutto al passato e alla memoria o è anche altro?

Uno dei fini statutari dell’Associazione è proprio l’attualizzazione. Guardiamo al passato soprattutto per scoprire e divulgare pagine inedite, ne è un esempio il Vespro e la Messa di Francesco Antonio Berera, pubblicati in cd, oltre all’esecuzione di brani di raro ascolto come le pagine di Runcher o il Requiem di Mayr. Accanto a ciò affidiamo commissioni per nuovi brani, quest’anno al bolzanino Arnaldo De Felice, per le passate edizioni ad Armando Franceschini, Carlo Galante, Cosimo Colazzo. Sperimentiamo anche commistioni tra il colto e il pop, tra sacro e profano come la rilettura della “Buona novella” di Fabrizio De Andrè, realizzata quest’anno grazie alla collaborazione con “Effetti corali”.

Quale valore attribuisce alla produzione contemporanea, in relazione ai grandi capolavori del passato?

Vi sono opere che continuano a parlare attraverso i secoli, c’è anche da dire che il rapporto è impari sotto l’aspetto quantitativo. Finora abbiamo dato risorse a quei cori che hanno fatto particolari ricerche, se avessimo maggiori possibilità potremmo fare di meglio e mettere in circolazione delle novità. La musica sacra continua ad attrarre i compositori, sempre sensibili a testi di particolare bellezza. I Salmi potrebbero essere un ottimo spunto, hanno una grandezza riconosciuta universalmente, anche dal premio Nobel Giosuè Carducci, per esempio, che non era certo uso a consumare i banchi della chiesa. In questa direzione il Festival potrebbe essere la sede privilegiata per una nuova produzione musicale sacra, tanto in ambito accademico quanto in quello liturgico; servirebbero solo maggiori risorse.

Che cosa, secondo lei, va cambiato o può essere migliorato nell’assetto del festival?

Stiamo maturando l’idea di allargare il numero dei soci a quegli enti e associazioni la cui compartecipazione è ormai consolidata da anni, in modo che abbiano voce in capitolo nell’assemblea. La collaborazione con le realtà formative della regione, scuole musicali e conservatori, oltre che con l’Orchestra Haydn di cui ci consideriamo una costola, va mantenuta e approfondita. Quello che può migliorare sono le relazioni con le due Province e i due Comuni capoluogo, che sono tra i soci fondatori del Festival: siamo preoccupati per la riduzione della loro partecipazione, il che si traduce in mancate o ridotte sovvenzioni. Non vogliamo piangerci addosso, ma da anni cerchiamo di spingere in direzione della dimensione regionale; auspichiamo un maggiore dialogo soprattutto tra le due province. Non ci si può definire una produzione di nicchia: in Italia questo è il primo festival sacro per fondazione, rimane unico per contenuti e distribuzione sul territorio. Noi veniamo a sapere delle sovvenzioni che ci toccano solo a festival concluso; c’è bisogno di una strategia politica che ci venga incontro.

Qualche progetto per il futuro?

Forse per l’anno prossimo realizzeremo un gemellaggio con alcuni cori della Sardegna, in un progetto sul canto popolare religioso: la realtà alpina a fianco di quella isolana. Vorremmo proporre inoltre opere particolari, dove la musica sacra veramente si mette in discussione, come il Requiem di Andrew Lloyd Webber.

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