Piotta e i suoi 20 anni di musica sabato a Nomi

di Fabio De Santi

C’è sempre il rap a scandire il battito sonoro del Piotta ma con tanta voglia di contaminare e rimescolare le carte della sua musica verso i lidi del cantautorato. Lo si capirà sabato sera a Nomi in Vallagarina dove il musicista romano presenterà il suo nuovo live nell’ambito del tour di promozione del suo ultimo cd Interno 7 Il nuovo spettacolo di Tommaso Zaniolo, in arte Piotta, rinnovato nel sound e nella scaletta, prevede brani scelti tra le ultime hit, i grandi classici e brani rap cult dagli esordi.

Uno spettacolo interamente suonato che Piotta ha sviluppato negli ultimi anni dopo decine di concerti tra club e festival sempre, come ci racconta in questa intervista, con la voglia di far muovere.

Incominciamo dall’ultimo cd «Interno 7»: cosa racchiude?

In questo disco c’è tutto il mio percorso umano. Mi sono chiuso alle spalle la porta di quell’Interno 7, di quella casa in cui sono cresciuto e vissuto per tanti anni. In quel momento ho riscoperto oggetti, ricordi, libri, vhs, vinili, ’45 giri, e sono riaffiorati tanti ricordi in una sorta di ipnosi regressiva che si è riversata sulle canzoni di questo lavoro.

Canzoni che hanno una dimensione quasi cantautorale.

Io tirerei via il quasi, nel senso che i brani hanno preso forma con un taglio intimo e cantautorale. Sono nate da una mia esigenza interiore e poi ho preso coraggio trasformandole in un album che si sta facendo apprezzare anche a diversi mesi dall’uscita. Quando le cose vanno più lentamente riescono ad andare maggiormente in profondità e a rimanere nel tempo.

Quanto c’è di rap nel Piotta di oggi fra graffitti pop, scrittura cantautorale appunto e chitarre acustiche?

I pezzi nascono tutti per chitarra e voce o pianoforte e voce. Il rap c’è perché è nella mia anima ma ci sono anche i cantautori che ascoltava il mio babbo, a cui è dedicato il disco, appassionato di Ivano Fossati e Lucio Dalla.

Questo si riflette anche su un live che si annuncia molto «suonato» e con poche basi.

Sì, è un concerto che mette in evidenza quello che sono oggi ma che ha un filo emotivo capace di unire le canzoni di quando ero ventenne a quelle di un quarantenne quale sono oggi. Lo show in due ore, durante le quali mi accompagna una band di quattro strumentisti, cerca di raccontare vent’anni di musica e una passione nata sui banchi di scuola e con altrettanta passione diventata una parte importante della mia vita.

Che effetto fa segnare con i suoi «7 Vizi Capitale» la sigla internazionale della serie tv Suburra?

Sono contento che “7 Vizi Capitale” sia stato scelto per una delle serie tv italiane più viste all’estero. È un brano di grande atmosfera, scritto per il disco “Nemici” uscito nel 2015, di cui vado orgoglioso. Mi fa un effetto strano che sia stata ascoltata e apprezzata in tutto il mondo: questa è la magia della musica, una sorta di esperanto che arriva a tutte le persone anche se non capiscono l’italiano.

Qualche nostalgia degli anni ’90 che nel nuovo singolo definisce «maledetti»?

Questo “maledetti” è nel senso buono del termine con un riferimento non musicale ma emotivo. Magari potessero tornare per me quegli anni in cui c’erano i miei genitori e tanti amici, come Primo dei Cor Veleno e tanti ragazzi che hanno fatto della musica la loro vita e che oggi non ci sono più.

Quanto è lontano oggi da «Supercafone»?

Mi sento nello stesso tempo lontanissimo e vicinissimo a quella canzone. Lontanissimo dal punto di vista musicale e stilistico ma “Supercafone” era il brano giusto, fresco e sincero per i miei vent’anni così come “Maledetti quegli anni ’90” lo è oggi.

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