Nuovo disco per Coez intitolato «E' sempre bello» è la celebrazione dell'indie

Il mood è quello un pò malinconico che è la sua cifra da sempre, ma almeno stavolta «È sempre bello», che è il titolo che Coez ha scelto per il nuovo album, il suo quinto, «un pò più positivo e rilassato rispetto al passato, anche se mantengo un lato crepuscolare».

Il disco (Carosello Records), in uscita dopo l’invasione di poster anonimi a Roma e Milano con le frasi delle canzoni) celebra i 10 anni di carriera solista del cantautore romano e arriva a un anno e mezzo da Faccio un casino (doppio platino), che dopo una lunga gavetta lo ha definitivamente catapultato tra i «grandi».

«È un disco che mette un punto - spiega Coez, la firma rotonda che Silvano Albanese, romano di Roma, ma nato per i casi della vita in provincia di Salerno, usava ai tempi in cui da writer copriva di graffiti i muri della capitale -. Lo considero il mio terzo secondo disco. Il primo era rap, il secondo apriva la strada a un nuovo genere, a cui è seguito il terzo che a questo punto era il secondo della nuova via. Poi è arrivato “Faccio un casino” che è stato un’esplosione e una sorta di altro inizio. Quindi, questo è il terzo secondo», spiega nello studio romano dove si è rinchiuso durante la lavorazione.

E non è stato facile, ammette, tornare a scrivere dopo il boom di “Faccio un casino”, con i palasport sold out e i 33 mila spettatori al Rock in Roma (record per un artista italiano). «È stato un bello scossone e all’inizio non l’ho vissuto bene.
Evidentemente, per una volta, avevo imbroccato il posto giusto al momento giusto». Ovvero, la strada del crossover tra rap e pop, di cui è stato un precursore e che continua con le 10 tracce di “È sempre bello”. «Io ho sempre fatto il mio. Ad un certo punto, il mio nome è finito tra gli indie, ma non è che quando è nato l’indie e io mi sono messo a fare quello: erano due strade che camminavano vicine e a un certo punto si sono incontrate», spiega l’artista 35enne, che ha voluto come produttore per questo lavoro Niccolò Contessa (I Cani).

«L’obiettivo era fare un disco omogeneo a livello di sound. E secondo me, Contessa m’ha cucito proprio un bel vestito».

Il risultato è un mix di atmosfere anni ‘80, suoni psichedelici, l’immancabile hip hop e influenze alla Vasco (come in “Domenica” e in “La tua canzone”). «Sono un superfan di Vasco, il primo rocker italiano con un’estensione vocale pazzesca, e in fondo siamo tutti figli di quella musica lì, anche se io ho un pò di rap in mezzo. Ha portato tanto a livello di sound e di semplicità nella scrittura. Per me che vengo dal rap, non è stato facile arrivare alla sintesi: avevo più parole in una strofa che in una canzone di ora. Un’influenza che è venuta fuori, anche se in realtà non ero partito da lì. Io ascolto tanta musica inglese e prima di entrare in studio ero in fissa con King Krule, e forse per questo ci sono tante chitarre come non ne ho mai avute».

I temi sociali e la politica preferisce lasciarli ad altri, anche se qui e là nelle canzoni qualche presa di posizione c’è. Come in “Catene”, dove viene fuori l’odio che trasuda dai social. «Mi avevano colpito in particolare i commenti su Stefano Cucchi... come se non ci si rendesse conto che si tratta di vita reale e non di un film. Prima ognuno poteva dire la sua, ora sembra che per forza ognuno DEVE dire la sua. Discussioni da bar ma sotto gli occhi di tutti».

Non vede per sè un futuro da giudice (ha già detto no a X Factor), piuttosto da produttore, «magari con un format tutto mio, basato sulla realtà e non sulla finzione». E sulla proposta della Lega di riservare un terzo dei passaggi radio alla musica italiana ha qualche dubbio: «Siamo già al 45%, che senso ha? Dipende come viene applicata. Certo è che se non fosse stata proposta dalla Lega e non ci fosse stata la foto di Mahmood sarebbe stata un’altra cosa».

Con “È sempre bello” inizia anche una nuova avventura dal vivo: il 28 e il 29 maggio doppio appuntamento con «Roma, è sempre bello», al Palazzo dello Sport di Roma. Due date che anticipano il tour autunnale, perchè in fondo «è sempre bello».

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