A Trento un'euforica Bandabardò

di Fabio De Santi

La Bandabardò, anzi la Banda, come la chiamano da tempo ormai i suoi fan, celebra in questo 2018 i suoi primi venticinque anni di musica. Anni che saranno raccontati anche nella tappa del loro «Club Tour» che venerdì prossimo 4 maggio alle ore 21 approda al Teatro Sanbàpolis per la rassegna «Sanbàclub» con quasi 500 biglietti già staccati in prevendita. Con Enrico Greppi, per tutti Erriquez, abbiamo parlato del presente della Banda.

Erriquez, che effetto vi fanno questi primi 25 anni di Banda?

Grande euforia perché siamo persone che hanno sempre misurato il successo con quello che riuscivano a fare a livello personale, non a livello di risposte di massa.
Abbiamo messo su una vera e propria ditta con cui stiamo mantenendo 8 famiglie da 25 anni passando attraverso mille traversie, ma sempre con una leggera crescita costante e tangibile per cui siamo veramente felicissimi di quello che ci sta succedendo.

Che live avete studiato per il Club Tour?

È un live che ci racconta, ma non ci glorifica, parte dalla preistoria, da 1993, da come iniziavano i concerti fino ad arrivare al brano di De Andrè che ci è valso il premio a lui dedicato nel 2017, passando attraverso i nostri cavalli di battaglia. Abbiamo diviso il concerto in tre blocchi: il pre-Ramon, poi l’entrata dei Caraibi nella nostra vita e infine quella di Pacio nel gruppo che, in silenzio, si sta creando uno spazio enorme con le sue tastiere e il suo pianoforte ed è quello che ci voleva.
Quanto è cambiato il mondo della musica tricolore attorno a voi dai tempi del Circo mangione del 1996?

Ci sono stati 20 anni di stasi, in cui sono andati avanti gli stessi, dopo di noi è emerso soltanto Caparezza, fra i musicisti che ritengo nominabili. Ora invece vedo un sacco di nomi nuovi, sono contento di questo, ci sono personaggi importanti che se li chiami cantautori si incazzano pure, ma che in realtà lo sono. Parlo di Coez e Calcutta, che sono molto credibili, bravi e spero che puntino ad una carriera e non solo al successo estivo, perché in quel modo lì resisti solo un’estate senza renderti conto che è il tempo che ti fa crescere e ti consacra.

 

Il vostro segreto?

Da una parte c’è l’alchimia di piacere ed è una bella benzina corroborante, perché essere sempre accolti ovunque vai con mille braccia alzate ti facilita tutto. L’altro è quello di aver affrontato questo lavoro con uno spirito di corpo incredibile, nessuno di noi ha mai messo in dubbio di essere Bandabardò e il nostro modo di esprimerci e di uscire dalle timidezze che ci affliggono per cui è molto più che un’attività professionale, è un modo di respirare, di affrontare la vita.

A proposito di dischi il vostro ultimo album "L’improbabile" è del 2014: come mai questo lungo silenzio?

I dischi non servono ormai a nulla se non ad avere meno gente ai concerti perché paradossalmente quando fai un album nuovo le persone pensano che eseguirai quel disco nel live e allora aspettano l’anno dopo. Ogni volta che abbiamo fatto un disco abbiamo avuto un leggero calo di presenze per ritrovare il doppio di persone l’anno dopo! A parte questo, fare un disco è un esborso enorme, che non puoi chiedere a qualcuno di finanziare perché sono soldi che non rivedrà mai.

La Banda si adatta ai tempi.

Stiamo pensando a vivere nella modernità, che significa fare una canzone e metterla gratis su Internet. Poi ne fai un’altra e un’altra ancora e quando hai materiale a sufficienza fai una compilation. Però mettersi a tavolino, studiare un disco come si faceva anticamente non è cosa di oggi. Di album ne abbiamo fatti undici e credo che bastino.

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