Il rock degli Who è ancora vivo: la band infiamma Bologna

di Matteo Lunelli

I hope I’ll die before I get old. Spero di morire prima di diventare vecchio. Era il 1965 e quattro ragazzotti inglesi con 3 minuti e 19 secondi di canzone (My Generation) erano pronti a sconvolgere il mondo. E non solo quello della musica rock. Sabato sera a Bologna due di quei quattro hanno dimostrato che la loro speranza si è avverata. Hanno dimostrato di non essere vecchi, per nulla. Gli Who sono vivi e vegeti e la loro musica continua a far cantare e ballare tante generazioni diverse. 

The Who, live a Bologna, Unipol Arena, 17 settembre 2016

 

Centotrenta minuti di show, tutti di un fiato, senza alcuna pausa, senza alcun trucchetto per tirare lungo, senza «gigioneggiare» e senza tante parole. Solamente purissimo rock. Roger Daltrey ha finito il concerto a petto nudo, urlando con la propria inconfondibile voce e roteando il microfono. E poi Pete Townshend. Il Maestro Pete Townshend. Descrivere la sua performance senza essere banali è impossibile. Restano le immagini: quella del mulinello a maltrattare la sua Fender Stratocaster rossa (il suo tipico modo di suonare alcuni riff roteando il braccio), prima di tutto. E poi quella pazzesca scivolata sulle ginocchia ad attraversare tutto il palco durante Won’t Get Fooled Again. Classe pura di un classe 1945. Sì, millenovecentoquarantacinque. Insieme a loro, a sostituire alla grande i pur insostituibili Keith Moon e John Entwistle ci sono rispettivamente Zak Starkey (figlio di Ringo Star e allievo di Keith Moon, semplicemente devastante) e Pino Palladino (considerato il miglior bassista al mondo, senza dubbio uno dei più immobili, con il corpo ma non certo con le dita). Sul palco ci sono anche Simon Townshend, fratello di Pete, alla chitarra, e due tastieristi, John Corey e Loren Gold. 

L’ultimo show bolognese della band risaliva al 24 febbraio 1967 e l’ultimo in Italia al 2006, ma alle 21 l’attesa finisce: sullo schermo compare una scritta in italiano, accolta da un boato, «Restate calmi, arrivano gli Who». Poco dopo, imbracciati gli strumenti, parte Can’t Explain.

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Il pubblico, nelle primissime file formato quasi totalmente da under 40, canta a squarciagola. Chi aveva dubbi sulla tenuta vocale di Daltrey può tirare un sospiro di sollievo: Roger ne ha ancora. Eccome. Una dopo l’altra arrivano The Seeker, Who Are You, The Kids Are Alright, I Can See For Miles, My Generation e Behind Blue Eyes. Sul maxischermo passano immagini e video di Lambretta, della Londra anni Settanta, dei Mods e dei simboli iconografici che hanno reso immortali gli Who e la loro musica.

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L’Unipol Arena, gremita, canta e fa i cori. Prima di Behind Blue Eyes Townshend, che oltre a suonare canterà anche parecchi pezzi, scherza indicando le prime file e dicendo che «la maggior parte di voi non era ancora nato quando è uscita questa canzone». Effettivamente quando uscì l’album Who’s Next era il 1971. Ma tutti conoscono a memoria il testo. Lo show non cala mai d’intensità. Daltrey riposa le corde vocali durante The Rock, un pezzo strumentale da Quadrophenia, ma la spiegazione è la canzone successiva: Love, Reign o’er Me, nella quale il cantante raggiunge vette non propriamente tipiche di un 73enne.
Dopo Pinball Wizard e See Me, Feel Me la scossa finale: Baba O’Riley e Won’t Get Fooled Again. Con quella scivolata sulle ginocchia di Pete Townshend. Perché per «get old» c’è ancora tempo.

P.S. La scivolata la potete vedere nel video qui sotto, minuto 7.20 circa.

SETLIST (Originale, autografata da Pete Townshend)

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SETLIST

Can't Explain
The Seeker
Who Are You
The Kids Are Alright
I Can See For Miles
My Generation
Behind Blue Eyes
Bargain
Join Together
You Better You Bet
5:15
I Am One
The Rock
Love, Reign o'er Me
Eminence Front
Amazing Journey
Acid Queen
Pinball Wizard
See Me, Feel Me
Baba O'Riley
Won't Get Fooled Again

I VIDEO

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