Verdena, distorsioni SotAlaZopa Un grande show, le parole di Roberta

di Matteo Lunelli

Tonadico, ore 18 di venerdì sera. Da un piccolo furgoncino scendono tre ragazzi, che sette ore prima si trovavano a Siena. Tonadico, l’una di notte. Da un palco in mezzo a un prato scendono gli stessi tre ragazzi, che per due ore hanno suonato e fatto cantare e pogare oltre duemila persone. Puro rock, con un abbondante uso di distorsioni ed effetti, senza fronzoli, senza tante chiacchiere, senza tanti ammiccamenti al pubblico. Quei tre ragazzi, che ormai tanto ragazzi non lo sono più e sono più vicini ai quaranta che ai trenta, sono i Verdena. Roberta, la bassista, scende dal furgoncino e ci viene incontro. «Eccomi, ciao. Hai da accendere? Se voglio riposare un attimo? No, no, figurati, andiamo là dietro a parlare». Sette ore di macchina non l’hanno minimamente scalfita. E quella stessa energia la rivedremo qualche ora dopo, nel suonare Don Calisto, con Roberta, gonna lunga rossa, capello biondo, sciarpa al collo, in ginocchio prima e sdraiata a terra poi a maltrattare le corde del suo basso rosso fiammante, mentre Luca picchia sulle pelli e Alberto si diverte con gli effetti della sua pedaliera. Una scena alla Sonic Youth, una fotografia classica per una band che ha iniziato a suonare insieme quasi venti anni fa.

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«Siamo cambiati molto da allora, ci siamo evoluti, come persone e come musicisti. Ci piace gestire tutto quanto in prima persona, siamo adulti e possiamo farcela tranquillamente. Ora pensiamo più al futuro, magari qualche anno fa vivevamo più alla giornata». Sul palco non sono cambiati, anche se sorrisi, qualche battuta, qualche frase al pubblico sono aumentate rispetto agli esordi. Sono rimasti, come vent’anni fa, dei perfezionisti ma l’inizio dello show non è perfetto: le dita sono ghiacciate e gli strumenti, con il freddo, si scordano. Dopo i primi tre pezzi, Alieni tra di noi, Un po’ esageri e Colle Immane i problemi tecnici sono superati: il pubblico inizia a saltare, cantare e pogare e i tre (quattro in realtà) picchiano forte. L’età media si aggira intorno ai vent’anni. «Negli anni lo zoccolo duro dei nostri fan è rimasto, ci hanno seguiti e hanno capito la nostra evoluzione, ma abbiamo anche tanti giovani che vengono a sentirci e comprano i nostri album. Molti ragazzi fanno più di una data del tour: c’è una gran voglia di musica, di live. Prendiamo il Rockin’1000 a Cesena per i Foo Fighters: una cosa unica, stupenda, tra l’altro difficilissima da realizzare dal punto di vista tecnico e musicale. Ecco, questo fa capire la fame di rock che c’è». Le riferiamo che in Trentino, ultimamente, sono più i Festival annullati che quelli svolti (SotAlaZopa merita un sacco di applausi per come sa resistere ed evolversi ogni anno) e delle difficoltà che hanno le band a suonare. La risposta è una smorfia tra il deluso e lo sconsolato che vale più di mille parole.

Nel backstage il trio non si sottrae e i musicisti firmano vinili e poster, chiacchierano (anche se nessuno dei tre è propriamente un loquace logorroico) e accettano le richieste: Walter, un fan roveretano, chiede a Roberta di suonare Il Gulliver, dodici minuti di pura adrenalina. A metà show, in perfetto stile Verdena, la bassista annuncia «Questa è per quello che ce l’ha chiesta». Loro sono così, prendere o lasciare. «Certo, negli anni siamo cambiati ma tutto sommato siamo rimasti sempre gli stessi. Invece il mondo intorno a noi è cambiato. La musica digitale? Un’opportunità: nel viaggio da Siena a qui abbiamo acceso l’iPod e potuto scegliere tra centinaia di dischi. Alla fine ci siamo goduti David Bowie». Ma internet non ha tolto un po’ di romanticismo al mondo del rock? Ora si può sapere tutto di tutti in tempo reale. «I siti, Twitter, YouTube, Facebook hanno il pregio di rendere tutto più vero, le leggende metropolitane sulle band o su un concerto non esistono più. Il contro è che tutti si sentono in diritto oltre che in dovere di commentare e giudicare qualsiasi cosa. A volte l’opinione non è richiesta, ma tutti vogliono essere giudici. Anche io ai concerti faccio qualche foto o video, ma lo faccio per me, al massimo li giro ai miei amici. Poi noi teniamo molto al contatto vero, fisico con i fan. Un tweet non sostituisce una stretta di mano». E quel contatto lo si è percepito anche nello show. Prima di Nevischio Alberto accenna qualche strofa di Oh Me, in versione unplugged dei Nirvana. Roberta sorride, Luca dietro la batteria con la camicia di flanella pare arrivato direttamente dai primi anni Novanta a Seattle. L’empatia è totale pochi minuti più tardi con Ovunque (anche se alcuni avrebbero preferito Valvonauta), una canzone del 1999, che ragazzini nati solo un paio di anni prima ma gasatissimi in prima fila cantano a squarciagola. 

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Quanto ciò che accade nel mondo, a livello sociale e politico, incide sulle canzoni, sugli umori, sul modo di stare sul palco, dei Verdena. «Le reazioni sono soggettive. Ovviamente chi fa musica non vive fuori dal mondo e quindi anche noi vediamo le immagini e leggiamo quanto sta accadendo in Italia, in Europa, nel mondo. A me colpisce tantissimo vedere come sono cambiate le nostre valli nel bergamasco, dove vivo. Metà delle fabbriche negli ultimi anni sono state chiuse e abbandonate. Ma il paradosso è che si continua a costruire, il cemento abbandonato viene affiancato da nuovo cemento e questo mi mette addosso tanta rabbia, perché non pensiamo a recuperare o non pensiamo all’ambiente». Roberta ci racconta di quando aprirono per Neil Young all’Arena di Verona («una giornata disastrosa, ci buttarono sul palco mentre la gente entrava, senza soundcheck») e di quando suonarono insieme ai Melvins («gruppi così meritano grandissimo rispetto»). Per il ventennale della band non hanno in programma, a differenza di Afterhours e Marlene Kuntz, delle celebrazioni, anche se «forse dovremo frenare la casa discografica, che magari vorrà fare qualcosa». Passiamo ai sogni. Oggi un ragazzino fa bene a sognare di diventare un musicista? «Con internet da un lato è più facile farsi conoscere, ma resta comunque un percorso molto difficile. Il consiglio è di suonare, suonare e suonare, fare la gavetta sempre. E guai a pensare che un contratto discografico sia un traguardo. E’ solo un mezzo». E il sogno di Roberta? Suonare con… «Paul McCartney». Ovvio, no? 

LA SETLIST AUTOGRAFATA

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