Ricordare il genio artistico di Depero a 60 anni dalla morte

di Maurizio Scudiero

Quando Remo Albertini, allora presidente della Provincia, assieme alla piccola figlia Elena, nell'inverno del 1953 salì su al 38 di viale di Colli per visitare Depero e parlare del possibile incarico per il rinnovamento della sala del consiglio provinciale, trovò una coppia, l'artista e la moglie Rosetta, china sul focolare, infreddolita, in una casa di ghiaccio. Lo salvò dalla fame e dalla disillusione, dalla sensazione di essere stato dimenticato.
È possibile che Albertini abbia parlato con l'allora sindaco di Rovereto, Veronesi, per la concessione di uno spazio per realizzare il suo museo, per lasciare memoria della sua opera. Così, dopo tre anni di lavori, l'1 agosto 1959 Depero inaugurò il suo museo: la «Galleria Museo Depero». Era già minato dal male e poco più di un anno dopo, il 29 novembre 1960, era morto.

Inutile dire che la sua opera, specie a Rovereto, non fu subito recepita. Il museo, infatti, rimase a lungo chiuso o aperto su richiesta. Un cartello appeso sulla porta blindata in ferro (il vecchio ingresso di via della Terra) avvertiva che «per visitare il museo farsi dare le chiavi dai vigili urbani». «Ma chi volete che rubi quei quadri», era la risposta. Fu così che Giobatta Maranelli, famosa macchietta roveretana dell'epoca, un ladruncolo avvolto di un'aura bohemien, lasciò il museo con un dipinto sotto il braccio. Quando se ne accorsero lui era già lontano ma non ci volle molto a capire chi era stato. E così l'opera tornò a casa.
Molti all'epoca ironizzavano per quella porta piena di serrature, e le inferriate alle finestre, dicendo che era per evitare che quelle stramberie di Depero andassero in giro per la città. In realtà, a lui, che era un futurista, per fare il suo museo avevano dato una casa del XV secolo, un vecchio «Banco dei pegni». Di qui le sbarre.

Con la seconda metà degli anni Settanta si iniziò una regolare apertura (peraltro confinata ai mesi primaverili ed estivi) e solo verso il 1986 (su mia proposta) fu aperto regolarmente.
Venendo all'artista, la sua rivalutazione critica iniziò fuori regione, a Milano, con una prima, interessante, retrospettiva organizzata da Guido Ballo alla Galleria Toninelli nel 1962, seguita dalla notevole rassegna curata da Agnoldomenico Pica a Villa Reale, sempre a Milano, nel 1966.

Depero si è sempre sfamato con la pubblicità o con i suoi cuscini ed arazzi. La pittura veniva dopo. Per cui un artista che ha pochi quadri disponibili (quelli storici di Depero sono per la maggior parte inamovibili, in musei o in collezioni private prestigiose) difficilmente riuscirà a crearsi un mercato solido. Il Curatorio s'imbatté in vari benefattori che offrivano opere del 1917, 1918, 1919 in cambio «alla pari» con altre della fine degli anni Quaranta: e di fronte a tanta benevolenza non ci pensarono due volte (credendo pure di fare un affare). Si scambiò persino un olio con un'opera di Amintore Fanfani, certamente con la benedizione del «potere» di allora. Non paghi, verso la metà degli anni Settanta si arrivò al capolavoro: la vendita di opere ritenute «minori» per racimolare soldi: soldi per che cosa? Per acquistare opere importanti? No! Per acquisire archivi e libri futuristi? No! I soldi servivano per editare alcune serigrafie tratte da opere di Depero. Serigrafie che oggi si vedono in molte case o uffici di Rovereto.

E ancora, tanto per ricordare le chicche più interessanti della vocazione culturale di quest'Atene del Trentino, la proposta da parte della figlia di Marinetti, Vittoria, di circa un metro cubo di carte, documenti, libri, foto, giornali dall'archivio del padre del Futurismo: il prezzo? 35 milioni di lire. Ma anche quella volta, da bravi ateniesi, abbiamo risposto «niet». «Non ci interessano le carte. Casomai avesse qualche altro Fanfani...». Così il malloppo andò diritto all'università di Yale, a cui non pareva vero di ricevere tutto quel bendiddio ad un prezzo irrisorio. Non ultimo, un collezionista propose al museo l'acquisto di uno dei quadri di Depero più famosi in assoluto: il «Treno partorito dal sole» del 1924. Anche in questo caso il prezzo non era proibitivo. L'opera rimase in visione per un mese, nell'atrio del museo e poi si rispose «No, grazie».

E così siamo arrivati agli anni Ottanta, scanditi all'inizio dall'importante mostra di Torino, intitolata «Ricostruzione futurista dell'universo», appunto dal manifesto di Balla e Depero del 1915, dove il roveretano ebbe un importante spazio. Seguirono le mostre di Spoleto, Salisburgo e Bolzano che videro il nuovo Curatorio del museo parte attiva nella nuova filosofia del «portare Depero fuori dal museo». Nel 1985 vi fu la partecipazione a palazzo Grassi: una presenza non proprio qualificata a causa della scelta delle opere: infatti anziché ad uno specialista del Futurismo ci si affidò al teorico dell'arte povera, Germano Celant, forse perché i futuristi, in fondo, erano tutti dei «poveri cristi». L'anno seguente fu invece la volta della rassegna sul periodo newyorkese, curata dal sottoscritto al Museo Depero che, per la prima volta in 27 anni, vide una mostra temporanea modificare l'allestimento delle sale. Poi arrivò il Mart, che organizzò varie mostre in giro per il mondo, e lo stesso feci anch'io, da buoni «separati in casa».

Nel 2009 pubblicai quella che molti hanno definito la «monografia definitiva» su Depero: oltre 600 pagine di storia non solo artistica ma anche umana, e tante foto e documentazione. A novembre, adesso, per volontà del presidente del Mart Vittorio Sgarbi si sarebbe dovuta tenere una grande mostra su Depero, appunto per ricordare i 60 anni dalla morte. Purtroppo la pandemia ci ha messo lo zampino ed il tutto è stato rinviato alla primavera del 2021. In realtà si tratta di un progetto, coordinato dal vicepresidente Silvio Cattani, che si articolerà in due mostre: una al Mart di corso Bettini, curata da Nicoletta Boschiero, che indagherà sulle ricadute e le rivisitazioni di Depero nell'era della gestione Mart; l'altra, al Museo Depero, curata invece dal sottoscritto, indagherà l'attività di Depero e della sua Casa d'Arte Futurista dal 1919 al 1941, e le sue anticipazioni, ad esempio, sulla Pop-Art.

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