«Tuuumultum!»: la visione rumorista del '900

di Chiara Turrini

T uuumultum! è una mostra di ricerca dove le parole creatività, sperimentazione, scientificità ancora una volta avvalorano una programmazione museale, quello della Casa d'Arte Futurista Depero, non solo coerente con i percorsi di approfondimento che hanno radici nel Futurismo, ma anche particolarmente coinvolgente sia per i contenuti che per i rimandi alla contemporaneità. Una mostra, che ha aperto nei giorni scorsi, sicuramente impegnativa, che non potrà scivolare via, ma che fornirà al visitatore una articolata e inedita chiave di lettura del legame fra arte, suono e rumore, grazie all'incontro con artisti che nel corso del Novecento hanno fatto della musica, in senso lato, il fulcro della loro poetica. Attraverso le collezioni del Mart l'esposizione si configura, infatti, come un dialogo tra arti visive e la produzione sonora rumorista del Novecento. Il viaggio inizia con la creativa stagione futurista testimoniata dai manifesti di Luigi Russolo e Francesco Balilla Pratella , ma anche dalle tavole onomalinguistiche di Fortunato Depero e dalle poesie pentagrammate di Francesco Cangiullo . Le sintesi visive di Vasilij Kandinskij aprono il percorso all'indagine di alcuni artisti della seconda metà del secolo, come ad esempio, Luigi Veronesi che attraverso geometriche sequenze cromatiche visualizza il ritmo e la cadenze della musica. I lavori di Giuseppe Chiari, Luciano Ori e Sarenco rappresentano la poesia verbo-visuale, mentre Jacopo Mazzonelli e Michele Spanghero sono i protagonisti della ricerca contemporanea.

«In Tuuumultum! - spiega la curatrice Nicoletta Boschiero - l'elemento principale è la presenza del suono. Per questo ho voluto che ci fossero delle tracce sonore, che il visitatore potrà ascoltare, comodamente seduto su una poltrona progettata da Depero nel 1922 per Cabaret del Diavolo, e ricostruita negli Anni Novanta. Particolarmente suggestiva, inoltre, la visione di un video del regista Gaetano Cappa, che ha assemblato diversi spezzoni di film realizzati a New York nel 1929, quando anche Depero si trovava in quella città. Le immagini sono accompagnate dalla voce narrante di Massimiliano Speziani che legge Broadway, una tavola parolibera dell'artista roveretano. Aprire il museo al suono è stato dunque l'obiettivo principale per arrivare poi alla trasposizione visiva del suono con l'intonarumori di Russolo, le opere di Veronesi, Chiari e gli altri artisti presenti. Decidere che suono e voce fossero i veri protagonisti della mostra ha fatto optare per scelte tipografiche diverse, come il viraggio in rosa, che si ispira ai ciclostili degli anni Settanta, della parte documentaristica; così la fotografia non diventa opera, perché sia i documenti che le opere lasciano che sia il suono a rivestire il ruolo principale».

Gli artisti che hanno rappresentato la musica o il suono si sono mossi nel solco di una vivida sperimentazione e le loro opere sono contrassegnate da una natura ambigua e da una caratteristica precisa, quella della serialità. Gli intonarumori, realizzati da Russolo nel 1913, sono una serie di strumenti musicali, circa trenta, che compongono le sei famiglie di rumori dell'orchestra futurista. Il rumore viene messo in musica, l'artista parla di emozioni esaltando il pubblico: «Fate prima vibrare i sensi, e farete vibrare anche il cervello! Fate vibrare i sensi mediante l'inaspettato, il misterioso, l'ignoto e avrete la commozione vera, intensa e profonda dell'anima».

Luigi Veronesi (Milano, 1908-1998), protagonista della ricerca astratta in Italia tra le due guerre, è stato uno sperimentatore di tecniche diverse, dalla pittura su pellicola al fotomontaggio attraverso fotogrammi, alle solarizzazioni e Negli anni Settanta ha elaborato una trasposizione visiva delle frequenze musicali, quali visualizzazioni cromatiche della musica.
Giuseppe Chiari (Firenze, 1926-2007) è stato un compositore fuori dai canoni, un improvvisatore. Musica madre, ad esempio, è un testo poetico, una partitura verbale di sistema "seriale" dove la parola musica si congiunge in un essenziale abbinamento.

Un tema indagato dagli artisti verbo-visuali tra gli anni Sessanta e Ottanta è quello del pentagramma, utilizzato come supporto che, ambiguamente, rappresenta sia un contenuto sonoro, sia un'opera grafico-pittorica.
Alcune opere frutto di questa ibridazione offrono l'occasione per riflettere sulle relazioni tra musica e arti visive: la partitura musicale assume un particolare contenuto estetico, fino a farsi un originale oggetto artistico: rappresenta poesia, composizione, teoria. Nel gruppo di artisti che utilizzano lo spartito, considerato alla stregua di un foglio da disegno, il concetto di serie è centrale. I collage di  Rajlich , facenti parte della collezione Tullia Denza , «Concerto grosso» e «Senza titolo», entrambi del 1967, ben esemplificano un procedimento la cui preparazione prevede una serie di passaggi, anche seriali, atti a trasformare la partitura in opera.

La copertina del catalogo rimanda a una composizione visiva realizzata da Depero nel 1932, un'immagine essenziale, geometrica, ritmica che nel tempo ha ispirato grafici e musicisti contemporanei.
La mostra chiuderà il 20 marzo 2020.

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