La lezione di Di Segni: il rabbino capo di Roma per universitari e docenti

Riccardo Di Segni, dal 2001 rabbino capo di Roma, è intervenuto al Dipartimento di lettere e filosofia dell'Università di Trento per una lezione alla comunità accademica e alla cittadinanza sulla "Torà orale".
Di Segni ha spiegato in cosa consista la tradizione rabbinica nel suo dispiegarsi come interpretazione dei testi sacri, ossia la Bibbia ebraica e il Talmud.

Una testimonianza che si inserisce nell'ambito delle attività scientifiche del Centro di alti studi umanistici dell'Università di Trento, costituito di recente. In quanto presidente del comitato per la traduzione del Talmud Babilonese in lingua italiana, Di Segni ha curato nel 2016 il primo volume di quest'imponente impresa, il trattato sul capodanno (rosh ha-shanà). Nella lezione di questa mattina all'Università di Trento ha sottolineato l'importanza di questa traduzione e ha letto, commentandoli, alcuni passi di quest'opera collettiva, chiusa quindici secoli fa, scritta in ebraico e aramaico.


L’intervista realizzata da Alberto Piccioni.

Con Di Segni siamo partiti dal definire il termine purezza.

«Ha una molteplicità di significati già presente nella Bibbia, lasciando tracce in tutta la tradizione. La prima accezione è quella che riguarda l’oro. Indica un materiale che non ha scorie, non mescolato ad altri metalli. In seguito c’è nel libro del Levitico la purità rituale: una accezione del termine purezza che alla mentalità occidentale risulta del tutto estraneo. La fonte di maggiore impurità in questo caso è la vicinanza con un cadavere: chi ha toccato un morto deve necessariamente purificarsi. Così come sono fonte di impurità le emissioni fisiologiche o patologiche degli organi genitali, sia maschili che femminili. Tutto questo crea un sistema estremamente complesso di evitazioni e attenzioni. Parte di queste sono ancora importanti momenti della vita rituale ebraica. Poi c’è una terza accezione in cui il termine puro indica l’animale commestibile e finalmente abbiamo una quarto significato di purezza: quella morale. Tutto ciò ci lascia intendere quanto sia complesso parlare di purezza nella cultura ebraica».

Che valore ha dunque dal punto di vista morale la purezza?

«Di certo non è riducibile al solo piano morale. Tra noi c’è un’ampia discussione storica e antropologica su quale sia stata l’origine di questo termine. Viene prima la purità rituale e poi quella morale o viceversa?»

Ma lei, quando ha il ruolo di rabbino, parla della purezza in termini morali?

«No, non necessariamente. Per noi è essenziale che il rabbino dia le regole per la purità rituale. Nelle nostre comunità disponiamo di bagni rituali per liberarci dalla impurità rituale che è ben differente da quella morale».

Proviamo a interpretare: questo significa che per voi l’ambito materiale, l’impurità materiale, non è separabile da quella spirituale? Corpo e spirito non si possono distinguere?

«Non possiamo separarli: anche se però esistono materie differenti. Facciamo un esempio: occuparsi di un cadavere è un atto moralmente importante. Eppure per noi chi lo compie diventa impuro al massimo livello. Questo significa che se uno è impuro non necessariamente è immorale. Allo stesso tempo se qualcuno si comporta in maniera immorale questo non significa che sia impuro dal punto di vista rituale. Può essere difficile da comprendere per la cultura contemporanea, ma noi abbiamo alle spalle trentacinque secoli di storia».

Riassumendo: una persona che è a posto dal punto di vista rituale, non ha toccato nulla di impuro può non esserlo moralmente?

«Può anche essere un delinquente».

Ma per voi non è un problema?

«Nessuno è autorizzato ad essere un delinquente. Invece si può essere autorizzati ad essere impuri: semplicemente chi è nella condizione di impurità non ha accesso ai luoghi sacri».

Arrivando al tema della convivenza: chi segue queste regole di purezza che tipo di vantaggi ha e quali sono invece le difficoltà?

«Questa è una vecchissima polemica di cui ci sono echi anche nei vangeli: quella del mangiare insieme. Come posso consumare cibi alla tavola di chi non rispetta le mie regole. Ci sono delle modalità per superare questa difficoltà: ognuno ha il suo piatto e il suo alimento. Ognuno diverso secondo quelle che sono le sue regole. Ma possiamo consumarlo insieme. Noi non crediamo che si possano abrogare delle regole in nome del bisogno di stare tutti insieme. Le due cose possono stare assieme: regole diverse e convivenza».

Seguire una tal mole di regole in che modo arricchisce la vita di un ebreo?

«Se parliamo di regole morali si tratta del presupposto fondamentale della personalità. Se invece parliamo di regole rituali per un credente si tratta di cercare l’armonia della propria persona».

Giorni fa c’è stata la marcia sul clima dei giovani: il fatto che l’umanità stia sporcando a tal punto la Terra da mettere a rischio la vita umana rientra in un problema di «purezza»?

«Noi vorremmo l’aria pura, senza gas tossici, alimenti puri, nel senso che non siano contaminati da presenze nocive alla salute o che non derivino da abusi sulla natura. Diciamo che si tratta anche di un problema di linguaggio: tutti questi valori sono perfettamente condivisibili. Non hanno a che fare con la purezza rituale dal nostro punto di vista».

Ma come comunità ebraica avete preso una posizione a proposito dei cambiamenti climatici?

«Singole autorità si sono ripetutamente espresse sostenendo le preoccupazioni per il clima. Ci sono numerosi scritti che dimostrano l’attenzione all’ecologia presente nei più antichi scritti della tradizione ebraica. Quella ecologica è una preoccupazione intrinseca alla nostra cultura».

Oggi la convivenza è messa in crisi dall’emergere di istanze come il nazionalismo o l’intolleranza verso gli immigrati: esistono per voi delle regole per la convivenza in questo ambito?

«C’è un obbligo di accoglienza come esiste l’obbligo di rispetto delle regole. Le due cose devono andare di pari passo. Senza che nessuno perda la propria identità specifica».

Ci mancherebbe che proprio voi lo negaste.

«Tutta la nostra storia è una declinazione del complicato tema della convivenza. A cominciare da quello che successe a Trento con Il Simonino».

Qualche anno fa le comunità ebraiche hanno ritirato il bando che «consigliava vivamente» agli ebrei di non risiedere a Trento.

«Sì, in qualche modo è stato preso atto che le cose sono cambiate ed è venuto a cadere il bando. In ogni caso la presenza ebraica dipende da tante cose: sicuramente la storia del Simonino ha lasciato un trauma non indifferente».

Cosa pensa quando sente rappresentanti istituzionali, come il presidente del Parlamento europeo Tajani, dire: «Mussolini ha fatto cose positive»?

«La disse anche Togliatti: ma le parole di Tajani preferisco non commentarle».

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