Lino Guanciale, attore adorato dalle fan, da oggi al Sociale con «Ragazzi di vita»

di Flavia Pedrini

L'ultima volta che è stato avvistato a Trento indossava abiti ottocenteschi e attraversava la città in carrozza, nei panni di un donnaiolo impenitente e dal passato oscuro. Era il 2013 e Lino Guanciale , uno degli attori più amati, girava la fiction «La dama velata». Ora torna nella veste che gli è più cara, quella teatrale. Da stasera a domenica sarà al Teatro sociale con Ragazzi di vita , spettacolo corale tratto dal romanzo di Pier Paolo Pasolini, in cui Guanciale fa da «narratore». 

Che effetto le fa tornare a Trento?
Non mi era più capitato di venire, né a Trento né a Rovereto, nonostante mi fossi trovato molto bene, a causa degli impegni di lavoro. Ma stavolta conto di avere più tempo per visitare la città. Più sto lontano da Roma e più diventa difficile fare altri incastri (ride).
Trento segna una svolta per la sua carriera televisiva. Il conte Guido Fossà, protagonista de «La dama velata», ha fatto da apripista ad una fortunatissima serie di personaggi: l'affascinante avvocato Enrico Vinci di «Non dirlo al mio capo», il cinico e carismatico Claudio Conforti de L'allieva e l'impulsivo commissario Leonardo Cagliostro in «La porta rossa».
Sicuramente il conte Fossà ha cambiato per me molte cose, aprendomi una fascia di ruoli nuovi in tv. Sono lieto di tornare dove parecchie cose sono cominciate. C'è un filo rosso che lega tutti questi personaggi: anche Cagliostro, in onda adesso, deve la sua esistenza a quello che è successo prima.
La seconda stagione de La Porta rossa, in onda con ottimi risultati, è all'insegna del mantra: «Nulla è come sembra». Cosa dobbiamo aspettarci?
C'è una media di tre colpi di scena forti ogni serata. In questa serie si è puntato su aspetti narrativi diversi rispetto alla prima, dove l'indagine era più lineare, con il meccanismo del giallo e dei falsi colpevoli e una fortissima linea sentimentale a fare da architrave. Questa volta a campeggiare è una indagine complessissima, che chiama in causa una serie di colpevoli. È un passo decisivo nella direzione della sperimentazione seriale anche in seno alla tv pubblica. 
L'ispettore Cagliostro è un fantasma che indaga sul passato. Se lei per un giorno potesse essere come lui, dove andrebbe? 
Senza dubbio al Ministero degli interni, a mettere la manina su qualcuno dei decreti che piacciono tanto al nostro ministro e farei qualche scherzo.
Tipo? Apriamo subito i porti?
Esattamente, quella sarebbe la prima mossa di Cagliostro. 
Senta, a proposito di fiction, vogliamo dare una speranza ai fan che sperano nella terza serie de l'Allieva?
Ne stiamo parlando. Deve essere molto convincente la struttura di una terza stagione. Di mio ho desiderio di impegnarmi anche in progetti nuovi.
La tv le ha portato una grande popolarità, una visibilità che, però, non è mai stata un fine, ma un mezzo per alimentare quello che resta il luogo del cuore: il teatro.
È così. Questa è stata una stagione molto fortunata. Da un lato ci sono dei bei successi televisivi, non ultimo quella de La porta rossa, ma anche affermazioni teatrali importanti. Per "La classe operaia va in paradiso", lo spettacolo con cui tornerò a girare dopo la fine di "Ragazzi di vita", sono arrivati due premi molto importanti come miglior attore: quello dell'Associazione nazionale dei critici teatrali e il premio Ubu (l'oscar del teatro ndr)».
Da stasera è in scena con «Ragazzi di vita»: un narratore che attraversa le borgate romane. Cosa hanno da dire, oggi, il Riccetto e i suoi compagni?
Con Massimo Popolizio, il registra, abbiamo immaginato il narratore come un omologo di Pasolini, un intellettuale o un lettore appassionato del romanzo, che cerca di immergersi in questa realtà, tentando di riscattarla e in parte salvarla. Pasolini racconta il canto del cigno di un mondo popolare, che sotto i colpi dello sviluppo materiale dato dal boom economico, smette di esistere, senza che a questo progresso materiale venga però accoppiato un adeguato progresso morale. Un tema attualissmo, perché la marginalità raccontata in "Ragazzi di vita" non ha smesso di esistere.
C'è un filo sottile che lega «Ragazzi di vita» e «La Classe operaia va in paradiso»: pungolare lo spettatore e dare una chiave di lettura per guardare l'oggi con occhi diversi.
Sono due spettacoli legati. Uno con toni più emotivi (Ragazzi di vita), l'altro con quelli della costruzione più militante (La classe operaia): marciano entrambi in una medesima direzione, che è quella di aprire gli occhi, per primi a noi che facciamo gli spettacoli e poi agli spettatori, per avere punti di vista alternativi sulla realtà. 
Lei ha un passato da rugbista di alto livello (nazionale under 19). In bacheca ha molti premi: le sarebbe piaciuto il trofeo del Sei nazioni? E cosa è rimasto del Guanciale rugbista?
Ci penso sì (ride). Ma sono rimaste la mentalita di squadra e l'insofferenza per gli indvidualismi. E la tenacia.
A maggio fa 40 anni. Cosa si regala?
Ahi, mi ricorda i dolori. Vorrei regalarmi un po' di tempo libero e un bel viaggio. Ma siccome starò lavorando, dovrò aspettare ancora un po'. In aprile invece dovrei partecipare ad una nuova missione con Unhcr in Etiopia.
Lei è testimonial dell'Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati e sabato, a Trento, parteciperà alla presentazione del libro "Anche Superman era un rifugiato". Un modo per dire chiaramente da che parte sta. 
Non mi crea problemi che qualcuno non la pensi come me, ma mi disturba notare come, per costruire consenso, si finisca sempre per fare le stesse "porcate": giocare con i numeri, aberrare il racconto della realtà, per distrarre le persone dai problemi reali del Paese e crescere in popolarità attraverso l'individuazione di un nemico. Questo è uno schema antico e pericoloso. Ma d'altra parte si deve anche ascoltare la paura della gente, perché questa nasce anche dal senso di abbandono della classe dirigente. Un deficit di cura che non si può rimuovere.
C'è una storia che vorrebbe raccontare?
Sì, una bella storia di un italiano di seconda generazione, nato qui, magari in uno di quei luoghi di marginalità che citavo prima e che si trova con la propria identità naturale negata.
Domani è la festa della donna. Niente mimose, ma un augurio.
Mi auguro che l'8 marzo diventi un giorno di riflessione per gli uomini, perché per spostare determinati equilibri, ancora ingiusti, siamo noi a dovere mettere in discussione i nostri paradigmi di virilità. Mi auguro che non sia solo un'occasione per guardare la partita, perché la compagna è fuori con le amiche, ma per pensare a che passi dobbiamo fare noi perché la differenza di genere non pesi più.

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