Le alte vie di Emanuele Stablum

Dal 25 febbraio, e fino al 15 marzo, al polo culturale diocesano Vigilianum (Trento, via Endrici) è visitabile la mostra Le alte Vie di Emanuele Stablum che racconta la storia di un trentino, divenuto poi romano di adozione, che è entrato nella memoria universale sia dando un contributo allo sviluppo della medicina, sia mettendo in gioco la propria vita per salvare quella di altri. Un trentino illustre: lo Stato di Israele ha riconosciuto Stablum come «Giusto tra le nazioni» per il suo coraggioso intervento a favore degli ebrei in occasione della Shoah.

Nato a Terzolas, in Val di Sole, nel 1895, compiuti i quindici anni Stablum si recò a Saronno (Varese) per verificare la propria scelta di vita nel solco del carisma di Luigi Monti (1825-1900), il religioso infermiere ed educatore beatificato da papa Wojtila nel 2003. Emanuele desiderava diventare prete e iniziò gli studi teologici. Arrivato quasi alla conclusione, gli venne chiesto di abbandonarli per iscriversi alla facoltà di medicina. Sperimentò una cocente delusione, manifestando tuttavia la forza interiore di un vero uomo di Dio. Negli anni '30 e '40 diresse con competenza l’Idi di Roma, un ospedale dermatologico fondato dalla sua congregazione religiosa (i «Figli dell’Immacolata Concezione»). Partecipò alla vita culturale, sociale ed ecclesiale dell’Italia uscita dal fascismo e dalla Seconda guerra mondiale.

In quegli anni salvò la vita ad un centinaio di perseguitati, rifugiati ed ebrei, che nascose nell’ospedale vestendoli da frati o ricoverandoli come malati. Ta i soci fondatori dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, morì il 16 marzo 1950 all’Idi di Roma, dove è sepolto. La Congregazione vaticana per le Cause dei Santi lo ha indicato come Servo di Dio, primo passo sulla strada della beatificazione.

Una santità, quella del Servo di Dio Emanuele Stablum, nella linea di altri contemporanei medici come San Giuseppe Moscati e San Riccardo Pampuri. E insieme una santità a rischio della propria vita, come quella dei beati Odoardo Focherini, che aveva genitori solandri, e Josef Mayr Nusser, sudtirolese: martiri entrambi della violenza anticristiana del Nazismo.

La mostra - curata da Ruggero Valentini - illustra in dieci pannelli i passaggi fondamentali della vicenda umana di Stablum: il desiderio di farsi prete e l’iniziale contrarietà della madre; la Prima guerra mondiale che colpisce la sua terra natale; il «forzato» abbandono degli studi di teologia per iniziare quelli di medicina; gli anni dell’impegno professionale e di coerente vita consacrata; la tragedia della Seconda guerra mondiale e la sua solidarietà verso perseguitati politici ed ebrei; il ruolo di governo nella sua congregazione religiosa e la malattia che lo portò alla morte, avvenuta nel 1950.

Il titolo della mostra - «Le alte Vie di Emanuele Stablum» - esprime la passione del religioso e medico solandro per la montagna e per la propria terra, ma anche il percorso arduo e affascinante, a tratti estremo, della vita consacrata, intrecciato con il lavoro professionale praticato come missione.

Due visite guidate con il curatore della mostra sono in programma il 7 e 8 marzo alle ore 18, quest’ultima preceduta (dalle ore 14.30) da una conferenza sul tema «Essere giusti nel tempo del male» con gli interventi di Alberto Conci (docente all’Issr Romano Guardini di Trento) e di Elisabetta Ruffini (direttrice dell’Isrec, Istituto bergamasco per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea).

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