Padre Dall'Oglio, profeta inascoltato

di Laura Galassi

Da giornalista Rai negli ultimi vent’anni Amedeo Ricucci ha lavorato nei più sanguinosi teatri di guerra: Somalia, Bosnia, Ruanda, Afghanistan, Iraq, Palestina e molti altri. In Siria è stato perfino sequestrato per 11 giorni da una brigata Isis. Il punto è che, per quanto un cronista possa avere pelo sullo stomaco ed esperienza sulle spalle, quando deve occuparsi in modo tragico di qualcuno al quale vuole bene, tutto diventa più complicato. I piani si mescolano e parlare con voce professionale di un amico sofferente è davvero molto difficile.

È così per il mistero di padre Paolo Dall’Oglio, gesuita rapito a Raqqa più di 5 anni fa, precisamente 1898 giorni (ce lo ricorda implacabile il contatore del sito internet a lui dedicato paolodalloglio.net). Ricucci lo conosceva bene. Condividevano, tra le altre cose, la passione per una terra travolta dai conflitti, nei confronti della quale il religioso sentiva un impegno «necessario». Impossibile per lui tirarsi indietro di fronte al male che stava divorando, tra le altre cose, anche la culla della comunità monastica cattolico-siriaca Mar Musa da lui fondata negli anni ‘80.

Proprio in virtù della stima e dell’amicizia che li legava, il giornalista a inizio 2018 è tornato in quella che è stata anche la sua prigione per girare il primo documentario a Raqqa dopo la liberazione dall’Isis. Ricucci era convinto che, solo sul campo, camminando sulle «impronte» lasciate dal gesuita, si sarebbe potuto capire di più sul suo sequestro e sulla sua ormai altamente probabile morte.

Il servizio, intitolato «Abuna», come veniva chiamato il prete in Siria, è andato in onda sulla Rai lo scorso 29 luglio in occasione dell’anniversario della scomparsa.
Sabato 13 ottobre alle 16.30 sarà proiettato nella sala arazzi del museo Diocesano di Trento. A seguire, alle 17.30, si terrà un incontro-dibattito dal titolo «La profezia messa a tacere. In ricordo di padre Paolo Dall’Oglio»; al tavolo dei relatori interverranno proprio Amedeo Ricucci, e Riccardo Cristiano, vaticanista da sempre particolarmente attento al dialogo interreligioso, nonché amico di padre Paolo. A fare da cornice all’evento la mostra, visitabile al piano terra fino al 5 novembre 2018, Nostalghia. Viaggio tra i cristiani d’Oriente.

Il documentario, va detto, non mette la parola «fine» sulla vicenda del gesuita: ricostruisce però con dovizia di particolari, mettendo in fila testimonianze di prima mano, gli ultimi istanti in cui padre Dall’Oglio è stato visto vivo, prima di entrare nel covo dell’Isis a Raqqa quel tragico 23 luglio del 2013.

Di padre Dall’Oglio è meglio parlare al presente o al passato?
Sono combattuto. Da una parte io sto con i famigliari e gli amici di Paolo: finché non avremo un corpo sul quale piangere e appoggiare dei fiori, continueremo a sperare. Questa speranza, tra l’altro, è giustificata dai 100 mila desaparecidos che ci sono in Siria, persone prelevate da casa o fermate in strada e poi scomparse, e dalle numerosissime prigioni targate Isis o gruppi ribelli o govero di Assad. Detto questo, da giornalista che è andato sul campo ed ha realizzato la prima inchiesta su questo tema, devo riportare che tutte le testimonianze di chi l’ha seguito da vicino concordano sulla sua uccisione.

Cosa l’ha spinto ha girare quest’inchiesta?

Da tempo volevo lavorare sul caso di padre Paolo. Ho avuto l’onore di averlo conosciuto in Siria, ma soprattutto ho un debito di riconoscenza nei suoi confronti. Quando sono stato sequestrato, il 3 aprile 2013, infatti, lui si è attivato subito, lanciando molti appelli. Una volta liberato, poi, è stato uno dei primi con i quali mi sono messo in contatto. Dopo il mio rientro dalla Siria, non abbiamo più avuto l’occasione di vederci di persona, ma ci siamo sentiti al telefono. Ero al corrente del suo ultimo sfortunato viaggio a Raqqa ed ero preoccupato perché era ad alto rischio.

Come è stato lavorare in una terra martoriata come la Siria?
Da quando, nel novembre 2017, Raqqa è stata liberata dall’Isis, ho capito che era arrivato il momento giusto per indagare sulla scomparsa di padre Dall’Oglio. Prima, infatti, era impossibile recarsi in quei luoghi. Per ottenere le informazioni ci sono voluti mesi e contatti privilegiati, oltre a moltissime autorizzazioni.
Alla fine, tornare in Siria mi è servito a ricostruire gli ultimi giorni di Paolo, parlando con la famiglia che l’ha ospitato e con i giovani che aveva incontrato. Sono anche riuscito a trovare informazioni importanti su chi può dirci veramente che fine abbia fatto: l’emiro Abd al-Rahman al Faysal Abu Faysal, un uomo chiave dell’Isis, che è ancora vivo ma che è stato impossibile contattare.
Un personaggio chiave che potrebbe risolvere il mistero, quindi...

Il problema in questo caso è il corpo di padre Paolo.
È difficile capire dove sia finito perché i prigionieri dell’Isis seguivano percorsi oscuri dei quali i residenti non sapevano nulla. Forse è stato gettato nell’Eufrate, come veniva fatto con i miscredenti, o forse in una foiba distante 40 chilometri, un canyon sotterraneo dove si liberavano dei corpi appartenenti al regime di Assad o degli stranieri.

Nel documentario si dice che sulla vicenda del religioso non cadrà mai veramente il silenzio, perché il suo messaggio continuerà a «parlare». Quale eredità lascia padre Dall’Oglio?
Paolo è un uomo del dialogo, dei ponti e non dei muri. Dal suo monastero ha predicato il dialogo tra credenti e non tra confessioni: ci si doveva mettere davanti a Dio e parlare. La sua è rimasta una profezia inascoltata; se le potenze gli avessero dato retta, avrebbero potuto evitare la mattanza in Siria. Anche dopo l’espulsione voluta da Assad, lui ha voluto tornare a Raqqa per guardare in faccia il lupo. Sapeva che l’ascesa dell’Isis avrebbe imposto un altro corso alla rivoluzione, ma non era un incosciente. Aveva già fatto da mediatore ed era risultato vincente. Sapeva di essere entrato nei cuori della gente.

Come intende proseguire la sua indagine?
Con il Tg1 continuiamo a lavorare su diverse piste. Dallo scorso luglio non ci sono stati sviluppi significativi: arrivano segnalazioni ma vanno tutte verificate sul campo. Io temo che non si riuscirà ad avere tutta la verità; dovremo accontentarci dei pezzi che riusciremo a raccogliere.

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