Jihad, analisi in un convegno «Le bombe possono favorirla»

di Paolo Ghezzi

Bombe sull'Isis? Produrranno altri sussulti jihadisti. Guerra chiama guerra. Daniela Pioppi (Università di Napoli l'Orientale) risponde così alla domanda di uno studente sulle strategie occidentali per fronteggiare il terrorismo di matrice islamista. Nell'aula 003 di Lettere, controllata da un notevole spiegamento di forze di polizia con tanto di metal detector, è in corso il convegno sui movimenti politici islamici nel mondo arabo, in occasione della pubblicazione del libro Storia ed evoluzione dell'islamismo arabo.

"I Fratelli Musulmani e gli altri" (Mondadori), che raccoglie le ricerche di dieci studiosi italiani. L'ha curato Laura Guazzone, docente alla Sapienza di Roma. In platea una settantina di studenti, qualche cronista, i poliziotti, Aboulkheir Breigheche della Comunità islamica.

«Due anni di lavoro con molte missioni in diversi Paesi, incontri difficili e impegnativi con i militanti e le militanti dei movimenti islamisti», sintetizza Guazzone marcando la differenza tra la «svolta barbarica» dell'Isis e le posizioni dei movimenti islamisti ma non jihadisti.

Se n'è parlato alla facoltà di Lettere, in via Gar, con le relazioni di Massimo Campanini («Il pensiero politico arabo-islamico alla prova del fallimento delle primavere arabe»), Marco Di Donato («La parabola evolutiva del salafismo contemporaneo tra quietismo e jihadismo»), Domenico Tosini («Militanti e terrorismo»), Daniela Huber («La politica estera Usa e l'islamismo»), Stefania Panebianco («La politica estera europea e l'islamismo»).

Guazzone ha voluto partire dalla questione terminologica: «Grande è la confusione, in parte ingenua ma spesso voluta, del discorso pubblico e mediatico. Non solo italiano. Per "islamisti" noi studiosi intendiamo l'insieme di ideologie e movimenti che ritengono che l'Islam abbia una teoria della politica e dello Stato, sulla scorta dell'"islam politico" coniato dall'autore angloegiziano Nazih Ayubi. Una definizione che ha dei limiti ma è meno islamofobica di altre, come radicalismo, estremismo, se non terrorismo islamico. La maggior parte dei termini sono contraddittori, spesso mistificatori, ma sono entrati nell'uso almeno alla fine degli anni 70 dopo la rivoluzione in Iran, non solo in Occidente ma negli stessi Paesi arabi. Il termine "islamismo" definisce un tipo specifico di ideologia, un segmento dell'islam politico, quello che propone una via riformista per arrivare a un sistema islamico che sappia governare Stato e società.

I Fratelli Musulmani ne sono il principale esempio, l'organizzazione di gran lunga più importante. E nell'ambito dei movimenti islamisti quelli che chiamiamo freristi , dal francese "fratello", individuano appunto i seguaci del modello ideologico e organizzativo dei Fratelli musulmani. I movimenti radicali salafiti jihadisti come Al Qaeda o il sedicente Stato islamico, che propongono modalità violente e rivoluzionarie, sono tutta un'altra storia. Così come diversi sono Hamas in Palestina e Hezbollah in Libano».

Laura Guazzone insiste nel sottolineare le differenze, mentre le Marianne di Francia e i giornali estremisti antimusulmani in Italia fanno di ogni islam un fascio. E ci rassicura (quasi) quando assicura: «Gli jihadisti sono una minoranza infinitesimale rispetto al miliardo di mezzo che ne rifiuta le pratiche come non islamiche o anti-islamiche. Gli intellettuali e i singoli credenti continuano a dircelo. Certo, il protrarsi di conflitti sanguinosi in Siria, Iraq, Libia e Yemen non fa che estendere l'influenza dello jihadismo. Islamizzare la modernità o modernizzare l'islam, sembra il dilemma. E molti islamici non jihadisti si stanno radicalizzando perché sembra l'unica via per cambiare le cose».

Sulla stessa lunghezza d'onda Daniela Pioppi, che ha spiegato la lezione dell'Egitto, dove i Fratelli musulmani, dal 1970 ad oggi, rappresentano la più grande organizzazione di massa e l'unica forza di opposizione. Messi al bando da Nasser nel 1954, restano un'associazione illegale, soggetta a repressioni cicliche del regime, con un cuore da struttura clandestina segreta, che seleziona i leader per lealtà più che per capacità. Ma che prova comunque a fare politica riformista, come dimostra l'accordo del 2011/12 con lo Scaf, il Consiglio supremo delle forze armate.

Ma con la fine della primavera del Cairo, da Morsi al nuovo golpe del luglio 2013, al nuovo uomo forte al potere al-Sisi, l'Egitto ha inaugurato un'altra stagione di «brutale repressione, che mette in crisi i Fratelli, organizzazione che conserva una diffidenza arrogante verso le altre forze politiche. I Fm hanno accettato la logica della democrazia e dell'economia di mercato, ma non hanno saputo produrre un'alternativa né un rinnovamento interno».

Fraternità (vera) ci vorrebbe. Non solo in Egitto.

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