Matteo Garrone presenta il "suo" Pinocchio con Benigni superstar

«Io ho iniziato a disegnare la storia di Pinocchio che avevo sei anni, è un racconto che mi accompagna da allora. Questo è davvero un film con una sua leggerezza e ironia, pensato per grandi e piccini. Un vero progetto natalizio per tutta la famiglia», dice Matteo Garrone che è riuscito a realizzare il suo sogno: portare sul grande schermo Pinocchio. Con attori in stato di grazia a partire da un magistrale Roberto Benigni nei panni di Geppetto.

«Pinocchio è universale, fa parte della nostra storia - osserva il premio Oscar toscano - è come il sole: non l'abbiamo attualizzato, è davanti a noi perché ci sono dentro tutti quei segnali, anche misteriosi, che fanno parte della grande letteratura: non è una favola ma va oltre. È quasi un libro divinatorio».

Nei ruoli principali, Gigi Proietti (Mangiafuoco), Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini - che ha collaborato alla sceneggiatura insieme al regista (il Gatto e la Volpe) - Marine Vacth (la Fata Turchina) e il piccolo Federico Ielapi (un irresistibile Pinocchio). Il film, coprodotto da Rai Cinema, uscirà nelle sale giovedì 19 dicembre con 01 Distribution.

Garrone, come spiega questa sua fascinazione per le fiabe?

«Con il racconto ho iniziato a esplorare un territorio dove si mescolava il reale e il soprannaturale. Questo film è davvero una storia a sè: ogni fotogramma mi appartiene ma abbiamo cercato di fare un film popolare, così come il grande capolavoro di Collodi. La sfida era fare un film che potesse sorprendere e incantare di nuovo il pubblico nel vederlo. E ora aspetto con ansia il vostro giudizio».

Benigni, uno degli spunti più interessanti nel racconto è il rapporto tra padre e figlio?

«Certo. È un rapporto d'amore. È la seconda volta che faccio un padre, anzi un babbo, dopo "La vita è bella". E Geppetto è come San Giuseppe: il padre più famoso del mondo. Con due figli "adottivi" che si sono trovati a casa. Ma ci sono anche le immagini e che immagini. E poi quando si parla di Matteo Garrone si dice sempre che è un pittore: ma le immagini fini a se stesse sarebbero noiosissime, invece Garrone è un grande regista perché sa raccontare, fa emozionare, commuovere e divertire. E a Natale che esca questo suo Pinocchio è un regalo per il mio cuore e per tutti quei bambini dai quattro agli ottant'anni».

Anche lei ha un legame profondo con il burattino che diventa bambino. Come ha lavorato sull'emotività?

C'è stato un percorso insieme e ho seguito il sentiero di Matteo che sembra Rossellini: fa cinema con la penna biro, lo scrive attimo per attimo. E ho pensato solo a cosa potesse sentire un padre invecchiato, segnato dalla povertà che è la parola che più si ripete nel libro di Collodi. Non è dignitosa, che sarebbe piccolo borghese, ma una povertà meravigliosa, che ti fa sembrare la vita un miracolo qualsiasi cosa accada. C'è l'esempio di Chaplin dietro tutti noi: questa povertà che diventa una grande ricchezza interiore. E sono rimasto me stesso: quando mi ha portato la foto di come avrei dovuto essere sembravo mio nonno. Erano le mie radici: uguale ma profondamento diverso».

Garrone, cosa rende così trasversale e universale Pinocchio?

«È una storia che può essere letta in mille modi diversi. Per me è soprattutto una grande storia d'amore tra un padre e un figlio. È come se dopo una serie di errori si capisca attraverso la redenzione il voler ritornare ad amare il padre. Sono personaggi italiani ma universali anche nel messaggio. Un film che andava fatto nel nostro Paese e con le facce di attori italiani che hanno saputo dare tutti quelle sfumature che mi auguro Collodi avrebbe amato».

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