Credito / L’analisi

Rurali trentine, con le fusioni ne restano 12 (ma fra poco potrebbero essere solo 7 o 8)

L’unione di Rotaliana e Val di Non accelera il trend, nel 2015 c’erano 45 banche «locali»: «Ma è una scelta obbligata, la gestione e le regole sono ormai asfissianti»

di Chiara Zomer

TRENTO. L'annuncio della fusione tra la Cassa Rurale Val di Non e quella Rotaliana Giovo ha forse stupito nelle tempistiche e nei soggetti coinvolti. Ma certo non nella strategia di fondo. Perché il trend verso successive aggregazioni è tracciato ormai da tempo. Anni fa si diceva che, alla fine, sarebbero rimaste solo 15 casse rurali. Con quest'ultima fusione e con quella tra Cassa di Trento e Alta Vallagarina, si arriverà a 12. Ma l'approdo finale, con ogni probabilità, sarà 7 o 8 istituti di credito cooperativo in Trentino.

«Non c'è un piano che detta tempi - osserva il presidente di una piccola cassa - ma è il mercato per come è organizzato che porterà a questo risultato». Anche se i sindacati frenano: «Cassa centrale vorrebbe 6, 7 Bcc ben strutturate e più controllabili - spiega Domenico Mazzucchi, del sindacato Fabi - ma io credo che fatte salve alcune operazioni prevedibili, ora ci si potrebbe fermare, per dare ancora il senso delle banche territoriali».

I numeri, da soli, danno la misura della profonda riorganizzazione avvenuta nel mondo del credito cooperativo trentino. Nel 2015 le casse trentine erano 41, saranno appunto 12. Significa il 63,4% in meno. Una strategia che ha garantito economie di scala: i dipendenti sono passati da 2.275 agli attuali 1.985, con una riduzione del 12,7%, grazie anche all'intervento del Focc, che ha permesso prepensionamenti (316 dal 2017 al 2021, a cui si aggiungono 22 incentivi all'esodo), ma che ha permesso anche l'ingresso di giovani (129 i contratti a tempo determinato trasformati in indeterminato).

Quanto alla presenza sul territorio, per altro, è diminuita ma non in proporzione (da 365 a 306 sportelli, - 16,2%), segno del tentativo di mantenere un radicamento territoriale. In compenso, regge l'attaccamento delle comunità. I soci (129.514 a fine 2020) sono cresciuti di 1.897 unità in cinque anni (+1,5%). In questo contesto arriva la fusione tra Val di Non e Rotaliana.

Una fusione strategica e non obbligata dai numeri di bilancio, rivendica il presidente Mauro Mendini, che spiegando la sua scelta chiarisce il contesto generale: «Abbiamo una cassa sana, avremmo potuto stare da soli per qualche anno, fare bella figura. Ma le normative sono sempre più complicate, gli adempimenti sempre più pesanti. Ci siamo resi conto che era meglio lasciar perdere il quotidiano e fare scelte di prospettiva. E abbiamo scelto di andare con una banca che ha una filosofia simile alla nostra, attenta alle valli. Ora dovremo essere intelligenti e bravi e restare vicini al territorio. Ma sono certo che sarà così, perché con la Rurale Val di Non abbiamo la stessa filosofia. Per esempio, non chiuderemo filiali».

Nelle sue parole, il nocciolo di quel che è accaduto e accadrà. Lo conferma anche Adriano Orsi, presidente della Rurale Alta Vallagarina Lizzana, in predicato di fondersi con Cassa di Trento, nonché vicepresidente della Federazione per il settore del Credito: «I costi sono in crescita, la redditività delle banche in calo. E gli adempimenti burocratici sono in costante aumento. Sarà inevitabile aggregarsi». Non c'è un piano, ma l'inerzia del mercato è quella.

Lo conferma anche Mazzocchi: «Quando è nato il gruppo bancario, si disse che lo si faceva per mettere sotto un cappello complessivo le casse rurali, che dovevano avere meno incombenze amministrative ed essere più sul territorio. Ma è accaduto il contrario, ci sono più regole, c'è un'asfissia normativa e le casse si stanno organizzando per gestire questa fase complessa. È una scelta obbligata, gestita abbastanza bene dal punto di vista del personale: c'è stato impatto sul modo di lavorare, ma non ci sono stati licenziamenti, né contratti di solidarietà, anche grazie al Focc. Ora la sfida è restare legati ai territori».

Un obiettivo per il quale, tutto sommato, il credito cooperativo sembra più attrezzato: «Gli sportelli, per esempio, sono calati del 16%. Gli altri gruppi hanno ridotto la presenza in modo molto di più massiccio».

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