Centri commerciali chiusi nel week-end, sale la protesta degli imprenditori

Concorrenza sleale con i negozi - che restano aperti. Rischio di assembramenti. Decisione non comprensibile. Sono queste, in sintesi, le reazioni dei negozianti dei centri commerciali di Trento, Top Center e Bren Center, rispetto alla decisione nazionale, cui si è adeguata anche la giunta provinciale, di tenere chiuse le strutture per lo shopping nel week end (con alcune eccezioni come alimentari, farmacie e edicole ad esempio), mentre gli stessi negozi possono rimanere aperti in città. Oggi quindi i centri commerciali del Trentino saranno di fatto chiusi.

Carlo Casari, storico negoziante del Bren Center, titolare del punto vendita Icas, è netto: «Si crea un problema di concorrenza sleale tra noi e il centro storico, dove si creeranno degli assembramenti, mentre i centri commerciali chiudono. Non capisco perché se i centri commerciali sono sicuri dal lunedì al venerdì, nel week end non lo sono più.

E poi non è che sono chiusi: restano aperti gli alimentari, ad esempio».

Per Casari «più orari dai per fare la spesa, più la gente si diluisce, più chiudi più si rischiano di creare assembramenti. Questa è la ratio della norma che non capisco, chi compra abbigliamento non verrà al centro commerciale ma andrà in quelli che restano aperti. Si si rischia di creare uno squilibrio concorrenziale con i negozi aperti e con Amazon e gli altri concorrenti on line che continueranno a crescere. Si innesca una concorrenza sleale tra noi negozianti, è una guerra tra poveri che si crea con decisioni di questo tipo».

Di qui la scelta di chiedere al governo provinciale e nazionale di ripensare alla scelta fatta.

Un'istanza rilanciata anche da Giuseppe Luongo, titolare di due negozi di scarpe, nei due centri commerciali di Trento nord. «Con questo provvedimento si crea disparità e un ulteriore danno ai negozi in un anno in cui le vendite sono molto calate. Noi non ce l'abbiamo con i colleghi, diciamo solo che servono pari opportunità per tutti i punti vendita: o si chiudono tutti o no. Se invece si fa così, si mortifica la microimpresa che ha fatto dell'Italia la forza economica che è. La richiesta alla Provincia e al governo nazionale è quella di dare pari opportunità a tutti i negozi».

Luongo, anche nell'anno della pandemia, ha voluto investire «aprendo il secondo negozio ai primi di ottobre, ma di certo quando l'ho fatto non mi aspettavo questa ondata di chiusure, anche perché noi sulle misure di sicurezza e di igienizzazione abbiamo investito. Occorrerebbe premiare e non penalizzare chi investe».

Per Mario Ramonda, della catena Sorelle Ramonda, la situazione che si crea con la scelta della Provincia di allinearsi alle decisioni nazionali «è paradossale. Ritengo che questa misura sia discriminante e dannosa. Faccio un esempio: la settimana scorsa la Provincia di Bolzano ha adottato una misura identica, e cosa è accaduto? In centro sotto i portici c'era una folla incredibile e si sono creati assembramenti che andrebbero evitati». Ramonda sottolinea come «i centri commerciali oggi sono posti sicuri al 100% perché seguono in modo rigido e rigoroso il protocollo Covid, l'entrata è uscita da una parte, l'uscita da un'altra. C'è un servizio di sicurezza che controlla che non si facciano assembramenti e c'è un limite massimo di persone che possono entrare. È una decisione che non capiamo».

E che aggiunge danni ulteriori all'economia del commercio. «Il week end pesa per il 50-60% del fatturato della settimana. Già siamo usciti con le ossa rotte dalla prima ondata, ora queste decisioni discriminanti non ci aiutano» sottolinea Ramonda. Il 18 maggio i negozi avevano perso il 47% sull'anno precedente, a fine ottobre si era arrivati a un -26% con un recupero dovuto alle aperture estive.

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