«Ecco come la pandemia accresce le diseguaglianze» A Trento l'analisi di Deaton

di Leonardo Pontalti

L'epidemia anomala. «Se, storicamente, le pandemie nel corso della storia hanno contribuito ad appiattire le disuguaglianze sociali, con il Covid-19 non sembra andare così».
A spiegarlo è stato, ieri pomeriggio, il nobel 2015 sir Angus Deaton, che ha chiuso il programma del Festival dell'Economia 2020 con la lectio «L'America a pezzi», sull'incidenza dell'attuale pandemia sulle disuguaglianze presenti negli Usa. Deaton ha comunque spaziato anche al di fuori dei confini statunitensi nelle sue disamine.

«L'epidemia che stiamo vivendo, soprattutto negli Stati Uniti dove a differenti condizioni economiche corrispondono diverse possibilità di accedere alle cure sanitarie, sta ampliando quelle che già in precedenza erano le disuguaglianze tra diversi ceti sociali».
Deaton, 75 anni, scozzese di Edimburgo, è stato insignito del riconoscimento dell'Accademia reale svedese delle scienze «proprio per aver contribuito con i suoi studi all'analisi di politiche economiche per contrastare la disuguaglianza nei paesi avanzati», ha ricordato Tito Boeri, che sul palco del teatro Sociale ha dialogato con il Nobel, collegato in videoconferenza.

E proprio dall'analisi dei dati sui contagi e sulla mortalità del Covid-19 nei paesi economicamente più sviluppati, Deaton ha potuto sottolineare come l'attuale pandemia stia avendo effetti diversi rispetto a quelle che si sono succedute nella storia: «Ci si poteva aspettare che in realtà più ricche, le condizioni generalizzate di benessere e il livello delle strutture sanitarie potessero garantire una minore sofferenze, rispetto a paesi meno sviluppati, invece stiamo notando come non sia così. Siamo ancora nel pieno della pandemia e gli scenari potrebbero cambiare, ma al momento i dati non possono che colpire».

Sir Deaton ha poi cercato di analizzare quelli che potrebbero esserne i motivi: «Di certo paesi più ricchi hanno anche centri di scambio e mercati più floridi, con una interazione tra persone molto fitta che non ha potuto che favorire un rapido e ampio diffondersi dei contagi. Allo stesso modo, in paesi più ricchi le persone hanno maggiori occasioni di spostarsi e viaggiare ed anche questo ha favorito una maggiore diffusione del virus rispetto ad altre aree del mondo, pensiamo ad esempio a quelle prettamente rurali».

Anche le caratteristiche della popolazione possono aver influito: «È risaputo come nei paesi più poveri la popolazione sia più giovane e questo di certo può aver influito nell'incidenza dei decessi».
L'attenzione è poi tornata sugli Stati Uniti, dove - ha sottolineato Deaton - «l'istruzione, i titoli di studio, più che altrove hanno sempre rappresentato, anche prima dell'avvento della pandemia, una sorta di vaccino contro la disperazione. Ed è così soprattutto in questi mesi d'emergenza sanitaria. Se studi puoi ambire ad avere un buon lavoro, un buon reddito. Senza un buon lavoro e un buon reddito non puoi accedere ad un'adeguata assistenza sanitaria. Anche per questo, dal punto di vista dei contagi e dei decessi, se la situazione è stata ed è critica in molti paesi ricchi, negli Stati Uniti è addirittura estrema».

Numerose le domande che, attraverso i sociali, sono arrivate a Deaton, che in proposito ha auspicato «di poter venire di persona a Trento al più presto, anche già il prossimo anno».

Il pubblico "virtuale" ha incalzato il Nobel sui più vari argomenti, dai rapporti Usa-Cina («Credo che in Cina tifino per Biden, ma non per particolari motivi: semplicemente perché Trump è imprevedibile») al futuro della globalizzazione dopo la pandemia: «Credo che la iper globalizzazione sia in declino da tempo: un suo rallentamento potrebbe ridurre le disuguaglianze sociale ma difficilmente ne controbilancerà quelli che sono già stati i suoi effetti negativi, arrivati assieme a quelli positivi».

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