L'incertezza affossa la ripresa Il 66% dell'industria non investe Manzana: «Serve nuova finanza»

di Francesco Terreri

«Quasi tutte le aziende industriali trentine hanno ripreso. C’è stato un leggero calo dell’occupazione ma sono pochi i lavoratori in cassa integrazione. Il problema è la grande incertezza sul futuro. Due terzi delle imprese hanno ridotto o bloccato gli investimenti». Per Fausto Manzana, presidente di Confindustria Trento e numero uno della società quotata Gpi, «da questa situazione non ci sarà una via d’uscita ordinaria».

Una mano la darà domani alle 17.30, in una conferenza on line, Edoardo Narduzzi, imprenditore e scrittore in prima linea nell’innovazione, che parlerà di predizione finanziaria con strumenti hi-tech nel primo degli incontri su «Una certa idea di futuro», organizzati da Confindustria e Università di Trento. Ma poi Manzana mette l’accento su alcuni fattori cruciali. Prima di tutto la massima attenzione sanitaria: «No ai negazionisti del Covid». In secondo luogo la mobilitazione del risparmio per finanziare gli investimenti, «non solo tamponare le ferite con moratorie e prestiti agevolati», e puntare su «nuovi progetti, nuova visione del business».

Tutelando il lavoro e la dignità umana. «L’appalto esterno non va demonizzato - afferma Manzana a proposito del focolaio Covid nel settore delle carni - Anzi, la produzione si avvia ad essere più distribuita. Ma l’appello dei sindacati a Confindustria è corretto: non si può esternalizzare per ridurre i controlli e le tutele. Quindi parliamone».

Presidente Manzana, perché avete organizzato il ciclo di incontri «Una certa idea di futuro»?

L’importanza della formazione continua l’avevamo indicata fin dal programma della mia elezione. L’imprenditore e il top manager, presi dalla quotidianità, non hanno il tempo di traguardare il futuro. Proponiamo pillole di formazione e informazione per incuriosire, aprire la mente, mettersi in discussione.
Ringrazio Stefania Segata e Marcello Lunelli per avere seguito il progetto, la struttura di Confindustria Trento e il prorettore dell’Università di Trento Flavio Deflorian con l’Ateneo per la collaborazione.

Di cosa parlerà martedì Edoardo Narduzzi?

Parlerà di predittività finanziaria per la sostenibilità dei mercati. Siamo tutti interconnessi e abbiamo bisogno di strumenti per prevedere i fenomeni. Una delle risposte sbagliate che possiamo dare è: abbiamo fatto sempre così, perché cambiare. Ma le nostre imprese si trovano davanti strappi rilevanti, come questo dell’epidemia. Narduzzi proporrà anche soluzioni tecnologiche, attraverso startup ma anche il lavoro dei Dipartimenti universitari.

Com’è in questa fase la situazione dell’industria trentina?

Hanno ripreso quasi tutti, c’è solo un leggero calo occupazionale.
Ma prevale l’incertezza. E l’incertezza comporta che due terzi delle imprese ha ridotto o bloccato gli investimenti. Rischiamo di entrare in una spirale involutiva, se non adeguatamente gestita. Ragioniamo su scenari possibili, caso peggiore, caso migliore, ma non ci sarà una via ordinaria per uscire da questa situazione. Già prima del Covid non stavamo particolarmente bene.
È necessario ragionare sull’evoluzione dei contratti di lavoro, sul telelavoro che ha fatto un balzo in avanti.

Lo smart working si è diffuso anche dopo il lockdown?

Il telelavoro è oggi largamente utilizzato. Non tutti i collaboratori ne sono entusiasti perché manca la socialità, il contatto. Nella produzione l’attività fisica rimane, ma nella manutenzione produttiva si studiano macchine che dialogano con i centri di manutenzione con supporto da remoto.
La produzione diretta va verso una minore concentrazione, da grandissimi stabilimenti che concentrano tantissime risorse si va verso produzioni più distribuite con componenti da assemblare e unità di progettazione, assemblaggio, spedizione. Nella sanità, dove lavora la Gpi, la robotica ha fatto un balzo in avanti nei reparti Covid, anche se l’automazione è ben lungi dal sostituire le persone.

Cosa serve per far ripartire l’industria?

L’evoluzione oggi è come sospesa. La prima cosa indispensabile è l’attenzione all’aspetto sanitario. Non possiamo permetterci un altro lockdown. Occorre rispettare le regole per convivere con la pandemia. Si è dato troppo spazio ai negazionisti del virus. La mascherina, le limitazioni non sono un danno alle libertà personali, non seguire le regole sarebbe un danno per l’altro.

A proposito di situazione sanitaria, dopo l’emergere del focolaio nell’industria delle carni i sindacati hanno fatto un appello a Confindustria sulle condizioni di lavoro nelle ditte appaltatrici.

L’appello è corretto. Esternalizzare ha senso nella misura in cui le dimensioni dell’azienda sono insufficienti, non è giusto farlo per ridurre i controlli e le tutele, non è corretto avere lavoratori di serie A e serie B. L’appalto non va demonizzato, come dicevamo la flessibilità si sta diffondendo nella produzione. Ma va fatto nel rispetto delle regole e della dignità umana. Quindi al sindacato dico: parliamone.

Le misure finanziarie delle banche, moratorie e prestiti garantiti, hanno aiutato?

Sono operazioni nel breve termine, un primo modo di tamponare le ferite. Poi però la ferita va ricucita. Servirebbe mobilitare il risparmio per finanziare gli investimenti, occorrono nuovi progetti, una nuova visione del business».

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