Gregory Concin, il pasticciere che fa le torte per Messi e porta i suoi dolci nel mondo

di Matteo Lunelli

Ventitrè anni, ma un curriculum che sembra quello di un cinquantenne. Tante esperienze, tantissimi aerei presi, ma soprattutto una grande voglia di imparare, di migliorarsi, di crescere. In un settore dove saper ascoltare è quasi più importante di saper fare. Lui è Gregory Concin. Il pasticciere Gregory Concin. Da Mezzolombardo, dove è nato, a Rovereto dove ha frequentato la scuola alberghiera, passando poi per Parma, Dublino, Valencia, Barcellona e ora, forse, Girona.

In ogni città dove è stato ha portato via qualche segreto e qualche trucco, ha affinato la tecnica e sperimentato. E ha pure vissuto esperienze indimenticabili, di quelle da raccontare per tutta una vita agli amici. Una su tutte? L’incontro con Leo Messi: il calciatore più forte del mondo, da Rosario, Argentina, con colui che ambisce a diventare il pasticciere più bravo del mondo, da Mezzolombardo, Trentino. E partiamo proprio dall’aneddoto.

«Nell’ultimo anno ho lavorato alla Pasticceria Foix de Sarrià, a Barcellona. Intorno a Pasqua è arrivato un doppio ordine, per due grandi creazioni con il cioccolato: una più semplice, una sorta di montagna innevata con delle piste da sci, e una complessa, ovvero una ricostruzione di 60 chili del Castello di Hogwarts di Harry Potter. Per parecchi giorni abbiamo lavorato con altri due colleghi anche per 17 ore, perché dovevamo portare avanti queste due creazioni insieme a tutti gli altri ordini. Quando abbiamo terminato il capo pasticciere mi ha chiesto di accompagnarlo alla consegna con il furgoncino, probabilmente per premiarmi viste le tante ore di lavoro dei giorni precedenti. Prima abbiamo portato il castello, che era per un dirigente del Barcellona calcio, un importante membro del direttivo. Fatta la consegna ne restava un’altra. “Quella scatola in fondo è per Messi”, ci ha detto il capo. Allora ci siamo diretti nella zona sud di Barcellona, a Castelldefels. All’ingresso di una lussuosa villa ci ha accolti una bodyguard, che all’inizio ci ha bloccati dicendo che da lì non sarebbe passato nessuno. Poi il cancello si è aperto e siamo entrati in un enorme giardino. Davanti alla porta c’era proprio lui: Leo Messi (nella foto insieme), con i figli. Gli abbiamo dato la scultura, l’ha aperta ed era molto contento, sia lui sia i bambini. Abbiamo chiacchierato e ci siamo presentati, poi lui aveva dei soldi in mano che voleva darci come mancia. Il capo ha rifiutato e così ci ha provato con me, ma vedendo il capo che scuoteva la testa ho declinato l’offerta. Però gli ho detto “Dai, almeno facciamoci una foto insieme”. È stato molto gentile, mentre io sono stato un tonto, non me lo perdonerò: non gli ho chiesto la maglietta. A ripensarci ancora adesso non mi spiego perché... Rientrati in pasticceria sono stato ricoperto dagli insulti dei miei colleghi: sono tutti super tifosi del Barcellona e ovviamente di Messi, che è un idolo assoluto, e vedendo che l’ultimo arrivato, il più giovane, l’italiano, aveva conosciuto il “numero 10” erano invidiosi. Ci sta, ci siamo fatti una risata».
Per Concin, invece, un ricordo indelebile, pur senza quella maglietta che avrebbe reso quella montagna di cioccolato ancora più dolce. «Io sono juventino - aggiunge sorridendo - ma non sono un tifoso di Cristiano Ronaldo, quindi la foto con Messi fa benissimo. Fino ai 18 anno ho giocato nella Rotaliana, sono sempre stato appassionato di calcio, ma poi ho smesso per via dei viaggi di lavoro».

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In questi giorni il pasticciere è tornato a casa, a Mezzolombardo, per alcune settimane di “stop” e un’operazione al ginocchio. Così ci racconta in tranquillità la sua storia.
«Ho sempre avuto passione per la cucina, ma era più una questione da “piccolo chimico” che non da papille gustative, nel senso che mi piaceva la precisione, il pesare tutto, l’essere puntiglioso. Ho seguito le orme di mio fratello, che gestiva “El cuco”, ma poi ho iniziato un mio percorso. Ho frequentato l’alberghiero a Rovereto e a partire dal terzo anno mi sono orientato verso i dolci. Poi sono stato a Parma, in un’accademia per un corso intensivo di 7 mesi, dove ho imparato tantissimo, soprattutto il rispetto e la conoscenza degli alimenti. Ci alzavamo alle 3 di notte per curare il lievito madre, abbiamo appreso cosa significhi sacrificarsi e rispettare il cibo. Io ero un ragazzino, con me c’erano persone molto più anziane, ed è stato un investimento sul mio futuro. Infatti, appena uscito, sono arrivate un sacco di offerte, anche da New York e dalla Cina».

A quel punto Concin ricorda una frase di un suo ex professore, con il quale aveva legato molto negli anni di studio roveretani. «Vai all’estero a imparare», gli ripeteva. E allora non resta che fare le valigie. Ma non tanto con l’obiettivo di diventare un grande pasticciere.

«All’epoca mi ritenevo ignorante perché non sapevo le lingue. D’altra parte in una scuola professionale non c’era molto spazio per quelle materie. La mia prima scelta era l’inglese e allora sono partito alla volta di Dublino: il lavoro era importante ma non era l’obiettivo, così prima ho trovato una scuola e poi una piccola pasticceria, la “Queen of Tart”, che è stata votata tra le prime dieci del Regno Unito. Sono stato lì sei mesi, poi ho deciso che era tempo di imparare lo spagnolo. Anche in quel caso veniva prima la lingua e poi le torte: sono andato a Valencia e mi sono iscritto a una scuola e poi ho trovato lavoro in una pasticceria dove mi lasciavano sperimentare, e ho scoperto dolci tipici e tradizioni».

Un’esperienza di un anno e mezzo, tra grammatica e pasta sfoglia, tra aggettivi e pasta frolla. Poi la grande occasione: Barcellona e la storica (130 anni) e prestigiosa Pasticceria Foix de Sarrià. Tre piani di cucine, settanta dipendenti e un capo che intravede nel giovane trentino le caratteristiche giuste.

«Mi ha fatto lavorare in vari rami, dalla parte di decorazione torte al settore cioccolato fino al forno. Adesso mi sono preso una pausa per l’operazione, ma mi hanno già detto che posso tornare quando voglio. Anche se ho avuto un contatto importante, che sarebbe una svolta se andasse in porta».
Il contatto si chiama El Celler de Can Roca, che gli esperti di ristorazione conoscono benissimo, in quanto miglior ristorante del mondo nel 2013 e nel 2015. Il Leo Messi dei ristoranti, per intenderci e restare in tema.

«Si vedrà, io ci proverò. Fino ai 30 anni mi sono messo in testa di continuare a viaggiare, imparare e sperimentare, poi il sogno è di aprire una mia attività. So che sarà un azzardo, so che sarà difficile scegliere dove, ma vorrei provare a sfondare, dopo tanti anni di gavetta. Anche perché oltre all’estero ho fatto anche le stagioni a Fai della Paganella e a Molveno, oltre agli stage, tra cui quello da Iginio Massari. Mio papà? Quando ho preso alcuni premi e mi hanno fatto un video sulla Stampa per spiegare la crema catalana mi ha detto “Sono orgoglioso di te”. Lui ha i suoi Alpini, ma so che sta già lavorando al logo della mia pasticceria...».

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