Cave: ecco i nomi delle ditte che non rispettano le regole

di Domenico Sartori

Continua, di piazza in piazza, la mobilitazione per chiedere il rispetto dei disciplinari di concessione delle cave, con i quali le aziende estrattive si sono impegnate, tra l'altro, a pagare regolarmente i lavoratori e a versare i contributi assicurativi e previdenziali. Ieri, il Coordinamento lavoro porfido (Clp), che ha promosso la petizione con la raccolta delle firme (vedi articolo a fianco), ha trasmesso all'assessore al lavoro e allo sviluppo economico della Provincia, Alessandro Olivi , copia delle lettere inviate ai Comuni di Albiano, Fornace, Baselga di Piné, Lona Lases e Cembra. Va ricordato che nelle scorse settimane, in un incontro con i sindacati e sindaci, era stato lo stesso assessore a chiedere ai Comuni di verificare il rispetto dei disciplinari. Non è però dato sapere cosa abbia sortito quella riunione. La novità è che ora, comune per comune, il Clp, che ha monitorato la situazione confrontandosi con gli operai, indica i nomi delle ditte (ad esempio, sono dodici quelle segnalate per la zona di Albiano) per le quali chiede «una verifica puntuale ed urgente». Aziende nelle quali il ritardo dei pagamenti dei salari è diventato strutturale. Viene indicata, per Albiano, una ditta in cui «i ritardi salariali persistono da almeno 4 anni e i lavoratori vengono pagati con acconti e non tutti nella stessa misura»; e un'altra ditta in cui tutti gli operai sono stati licenziati e l'attività è sospesa da almeno tre anni, ma alla quale il Comune non ha revocato la concessione.

Non passa giorno che la situazione critica del distretto industriale naturale della pietra trentina non venga fotografata. Nei giorni scorsi, dalla Filca Cisl ( l'Adige del 30 luglio, ndr) sono arrivati numeri assai crudi: 1.800 addetti nel 1992, 6-700 oggi, anche se la crisi viene da lontano, ante 2008, quando le imprese hanno rifiutato di costituirsi in vero distretto, preferito esternalizzare i costi e farsi concorrenza sui prezzi. Né la legge 7 del 2006 ha migliorato la situazione: è fallita nei fatti.

All'assessore Olivi, il Clp ricorda che la legge «prevede la revoca dell'autorizzazione/concessione "quando sono violate le norme relative ai contratti di lavoro nazionali e provinciali". Abbiamo informazioni» si legge nella lettera «secondo le quali in alcune cave si faccia ricorso a lavoro nero, approfittando delle difficoltà di molti licenziati e disoccupati, soprattutto extracomunitari». A Olivi viene anche evidenziata «la grave situazione che interessa le ditte artigiane non concessionarie di lotto cava, che si occupano della lavorazione. Si tratta di una zona grigia incontrollata». Un tessuto polverizzato di aziende che spesso «sfruttano gli operai a cottimo puro, lavoro nero, caporalato e false partite Iva. Un tessuto produttivo che ha consentito a chi lo controllava ampi margini di profitto fino a una decina di anni fa, poi è diventato strumento per una selvaggia concorrenza interna che ha messo in difficoltà le ditte più serie che non hanno esternalizzato le lavorazioni». Si ricorda che oggi «vengono acquistati e venduti cubetti al prezzo di 8 euro al quintale, quando il prezzo equo per una ditta che rispetta le regole contrattuali vigenti, si aggira attorno ai 14». La richiesta finale all'assessore Olivi: «È necessario far emergere le eventuali responsabilità di amministratori ed organi di controllo, per questo sosteniamo la proposta di una commissione d'inchiesta avanzata dall'ex capogruppo di minoranza di Lona Lases, Fabio Fedrizzi ».

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