L'ingegnere Lunelli  con l'Asia nel motore

Intervista ad Alessandro Lunelli. Settantottino, ama la matematica (e la pratica con eccellenti risultati agonistici) ma non si addentra nella cabalistica: e siccome zio Gino è stato il terzo presidente dei giovani industriali di Trento e suo cugino Marcello il nono, e lui è il 14°, non ne deduce pronostici ribaltati su future presidenze di Confindustria Trento, carica che finora è sfuggita alla più celebre e sparkling famiglia imprenditoriale del Trentino

di Paolo Ghezzi

ALESSANDRO LUNELLITRENTO - Alessandro Lunelli, settantottino, ama la matematica (e la pratica con eccellenti risultati agonistici) ma non si addentra nella cabalistica: e siccome zio Gino è stato il terzo presidente dei giovani industriali di Trento e suo cugino Marcello il nono, e lui è il 14°, non ne deduce pronostici ribaltati su future presidenze di Confindustria Trento, carica che finora è sfuggita alla più celebre e sparkling famiglia imprenditoriale del Trentino.
Intanto si accinge con grinta sorridente a traghettare la barca dei giovani industriali attraverso acque di crisi che non gli tolgono l'ottimismo forgiato da giovane manager cresciuto tra le tigri.
Dinastia delle bollicine, suo padre Mauro raffinato enologo ... Lei, invece?
«Io invece a diciott'anni ho deciso che era meglio cominciare a conoscere il mondo, e ho scelto Padova per laurearmi in ingegneria elettronica. Un salto carpiato, in massima libertà. D'altra parte i patti di famiglia, anche per i nostri figli, prescrivono la regola dell'esperienza all'estero, e della conoscenza di almeno due lingue, per poter entrare nel gruppo. E poi ero appassionato di tecnologia, e la forma mentis dell'ingegnere è importante, in qualsiasi settore, vino incluso».
Dove si è fatto le ossa, ingegnere?
«Prima in McKinsey e poi in Unilever, leader mondiale nel largo consumo, dal 2004, a Milano. Sono propenso alle relazioni personali, come molti in famiglia. E sono convinto: tutto quel che si fa, se non è comunicato con una strategia chiara, non vale».
Più apparire, che essere?
«No, prima c'è l'essere dei prodotti. Per tre anni ho lavorato all' innovation center , polo d'eccellenza household care , nostro massimo successo un anticalcare da bagno».
L'anticalcare non è «virtuale», si deve ammettere. Che cosa ha imparato?
«Che anche i mercati saturi e "plafonati" non si sono trasformati in commodities , i brand sono ancora molto importanti, sia per gli aspetti funzionali che emozionali».
In tutto il mondo, immaginiamo.
«L'ho imparato dopo aver chiesto di essere trasferito nei Paesi in via di sviluppo: da inizio 2007 per quasi due anni nelle Filippine (i miei amici sono sani e salvi, per fortuna) e poi a Singapore con il marchio Unilever Axe, un miliardo di fatturato».
Passaggio in Oriente: altri mondi.
«L'Asia era un sogno nel cassetto. Ho seguito la strategia del brand in Giappone, India, Thailandia, Filippine, Indonesia. 104 decolli d'aereo in meno di tre anni. Vivere in un Paese con l'economia che cresce a doppia cifra (tripla in India) è fantastico».
Che cosa vendeva, agli asiatici?
« Bodyspray , fragranze: non costose, per i giovani, per aiutarli a sentirsi bene e giocare il mating game ».
Insomma, per «cuccare», direbbe Silvio. Priorità sociale anche questa?
«Mi sono chiesto, se avesse senso. Ma, anche confrontandomi con un'amica indiana, ho capito che non solo il lavoro e l'istruzione, ma anche l'industria e il consumo portano benessere. Le nostre fabbriche danno potere d'acquisto ai nostri dipendenti. Li aiutano ad elevarsi socialmente».
Ci dà una pennellata sulle sue tigri?
«1) Filippine: splendide, a livello umano. Sono cattolici e amano il prossimo. Difficile è infrastrutturare 7mila isole, servirà un grande sforzo. 2) L'India è una clessidra, o ricchi o poveri, con una classe media inesistente: la tv non è dominata dalla cultura occidentale, hanno Bollywood, c'è nei giovani una voglia pazzesca di emergere ma pesa l'enorme massa di persone a bassissimo reddito. 3) Il Giappone ha una fortissima economia industriale, l'Europa dovrebbe imparare. 4) La Thailandia è già molto sviluppata, basta che lascino andare la barca».
Una lezione economica imparata?
C he la diversità culturale è ineliminabile, il consumatore resta local e non solo global. Che la cultura del lavoro è fondamentale: se si ha voglia di fare, c'è sempre spazio».
Giovane ottimismo confindfustriale?
«Quando mi hanno eletto presidente di Confindustria giovani ho esordito con Einstein: se continuiamo a fare le stesse cose, non andiamo avanti. Bisogna rimboccarsi le maniche: gli asiatici hanno lo stay-hungry-stay-foolish nel sangue. Dobbiamo recuperare una voglia che la crisi ha attenuato, ma l'extramiglio va fatto».
Lei ha scelto di farlo ritornando tra le sue montagne. Perché?
«Sono tornato nel 2009, convinto di quel che diceva Goethe: ciò che hai ereditato dai padri riconquistalo se vuoi che sia tuo. I miei cugini Matteo e Marcello, mia sorella Camilla e io ci stiamo impegnando duramente, come tutti gli imprenditori trentini, per portare avanti il nome della famiglia e dell' azienda. In questa crisi si fa il doppio della fatica per ottenere gli stessi risultati».
Era più facile per i vostri padri?
«Loro lavoravano 20 ore al giorno ma vedevano anche crescite a doppia cifra. Noi oggi in Italia dobbiamo lottare per non retrocedere. Certo, i mercati esteri tirano, e anche il pastore nomade della Mongolia ha il suo smartphone : un pool di consumatori così grande non c'è mai stato».
Quali sono i Paesi con più chance, per il vostro export di spumante?
«Usa e Germania hanno reddito alto e son appassionati ed educati. Il Giappone è già molto importante. L'India per i prossimi 5/10 anni no, troppe barriere doganali. Dalla Cina alla Nigeria e al Vietnam ci sono crescite significative, ma sono ancora mercati piccoli».
Voi Lunelli provate a crescere nell'export ma certo non potete delocalizzare la produzione.
«Territorio, qualità, controllo dei processi dalla terra alla tavola, sono dei must da Giulio Ferrari fino a noi, ci mettiamo la faccia. Con il nostro 20% di uva di proprietà, e con quella di più di 500 famiglie seguite dai nostri 8 agronomi».
E restate un'azienda familiare, siete riusciti a gestire bene i passaggi generazionali, altrove deflagranti.
«La formula è vincente se il passaggio generazionale è progressivo, nella stima e nella fiducia. Una famiglia è come un orologio: se è ben oliato, tutto funziona. Ognuno ha il suo settore e vi si concentra. Nei cda poi si discute di strategie e politica d'impresa. Il segreto? Chiarezza di ruoli, timoniere riconosciuto, cultura d'impresa che attrae manager esterni di alto profilo. Ce ne sono parecchi nei ruoli chiave: tra cui l'amministratore delegato».
Allarghiamo lo sguardo, da Ravina. Ci sono aziende che non ce la fanno più.
«Ma il made in Italy esiste ancora. E dobbiamo difenderlo. Crea lavoro in Italia e ricaduta d'immagine all'estero, in circolo virtuoso con il miglior turismo, la passione per l'Italia. Aziende italiane, con le loro radici, da una parte. Fabbriche delle multinazionali, dall'altra. Ci si accorge dolorosamente anche in Trentino, quando vengono a mancare le Whirlpool e le Subaru».
Lei prende il timone dei giovani industriali, ingegner Lunelli, con la disoccupazione giovanile salita al 20%, anche in Trentino.
Ripeto: la crisi è un'opportunità di crescita. Il nostro nuovo direttivo è una squadra molto forte, nei prossimi 3 anni vogliamo dare un alto valore aggiunto, partendo da progetti già avviati, come TuSei e Giovani industriosi, e sviluppando iniziative per aumentare l'occupazione, con gli stage e con lo sportello dedicato all'imprenditoria giovanile. In Italia troppo spesso i ragazzi entrano nel mondo del lavoro in età troppo avanzata. Avvicinarli durante la fase scolastica dà una marcia in più. A loro e alle aziende».
Come favorire il ricambio generazionale nelle imprese?
«Solo una riforma fiscale incisiva può produrre questo risultato. Il taglio dell'Irap è un inizio. Ma ci vuole più coraggio».
Qual è il primo messaggio ai suoi associati «confindustriosi»?
«Riscopriamo lo spirito imprenditoriale, l'impresa come valore sociale, l'orgoglio. Apriamoci: in Trentino siamo un centinaio, in Italia 12mila: creiamo un network di contatti, perché 1 + 1 non fa 2, ma 2,5 o 3. Continuiamo a formarci, a crescere. Con frequenti visite, come quelle recenti alla Leitner e alla Prinoth, straordinarie aziende altoatesine nel mercato globale. Impariamo, senza invidia, consapevoli delle nostre potenzialità: non siamo secondi a nessuno, il segreto è collaborare». 
Le piace la giunta Rossi Olivi?

«La chiara maggioranza, diversamente che a Roma, le dà la forza di fare scelte molto decise: se vorranno essere statisti che, come diceva De Gasperi, pensano alle prossime generazioni. Ottimo il super-assessorato all'economia e lavoro. E anche l'accorpamento di trasporti e ambiente consente una visione olistica della realtà».
Non la tenta, la carriera politica?
«Non ci ho mai pensato, il mio lavoro è portare benessere al territorio, con i miei cugini e i miei colleghi industriali: in fondo la buona impresa e la buona politica hanno lo stesso obiettivo».

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